Non male come mission alla luce dell’ennesimo flop della nostra Nazionale… «Non è una cosa facile, lo so bene, ma bisogna capire che oggi il problema del calcio italiano è la sostenibilità. Sono poche le società che hanno i bilanci al loro posto e questo crea problemi anche a livello sportivo, perché i risultati partono proprio da lì: dai conti, dalle scrivanie. Durante i miei corsi porto sempre due modelli: l’Atalanta, che negli ultimi 4 anni in utile, ha fatto 178 milioni di plusvalenze e il Napoli, che ha stipendi in perfetto equilibrio rispetto alle sue entrate. Sono esempi di società che spendono in maniera virtuosa».
E allora cosa si può fare per migliorare il nostro sistema calcio? «Innanzitutto aspettare il primo giugno 2022 quando si passerà dal Fair Play finanziario alla sostenibilità futura. Ci saranno dei limiti ai costi dei club, si darà attenzione al patrimonio netto, ci saranno controlli immediati e sanzioni severe».
Cosa cambia rispetto al passato? «Prima era consentito un deficit triennale da 30 milioni di euro, ora i milioni passano a 60, ma senza detrazioni delle spese virtuose come investimenti nel settore giovanile o lo stadio di proprietà e saranno concessi solo 90 giorni per pagare i propri debiti. I costi della squadra non potranno superare il 70% dei ricavi».
Ma tutto ciò può bastare? «Assolutamente no. Servirà anche altro».
Ovvero? «Innanzitutto il rispetto delle regole che negli ultimi anni non c’è mai stato. E poi la politica deve avere meno peso rispetto alla parte manageriale ed economica. In Italia sono fallite 170 società negli ultimi 20 anni: è un numero altissimo».
Il suo corso «Il giurista entra in campo» alla Luiss è spesso arricchito dalla presenza di ospiti di eccezione… «L’ultimo è stato Cristante che uno studente della Luiss e un campione del calcio. Ma anche Malagò è stato protagonista nelle lezioni precedenti. Il numero uno del Coni ha parlato della riforma dello sport che lui ritiene non sostenibile. E in particolare del calcio ha tenuto a precisare che chi lo gestisce non ha rispetto di governance e cultura».
Come mai ha scelto proprio lui come testimonial? «Perché Spalletti non è solo un allenatore, ma un manager con una visione internazionale. Ha detto ai ragazzi : Il team manager è quello che porta l’area di rigore negli uffici e la scrivania in campo. Ci ha parlato di questo ruolo che si è evoluto tantissimo. I ragazzi lo ascoltavano rapiti dalle sue parole, ma d’altra parte lui è un grande comunicatore e farlo alla Luiss è stato per molto emozionante. È stato accolto con grande entusiasmo anche dai vertici dell’ateneo».
Ma qual è lo scopo finale del suo corso? «Cerco di inquadrare i temi del diritto sportivo con un approccio più diretto, più pratico e pragmatico. Il mio obiettivo è quello di formare il buon dirigente di domani. Si parte dal diritto perché devi conoscere istituzioni e fonti, ma poi attraverso i grandi relatori che ho avuto cerco di andare a trattare i temi attuali del mondo dello sport».
Il Mattino