Q ua, dove c’era un velo di depressione così spesso da poterne restare soffocati, adesso resta un sogno: e quando mancano settecentoventi minuti e una serie di incognite da risolvere, l’uomo che ha trascinato Napoli fuori da quel cono d’ombra, nel quale s’avvertivano misteriosi veleni, ha preso il futuro a due mani e se l’è modellato addosso, sulla pelle.
«Sfrutto le parole di Koulibaly e dico: ora, in questi due mesi scarsi, siamo tutti napoletani. E quindi, anche se ci aspettano otto partite difficili, e questa con l’Atalanta lo è parecchio, è chiaro il desiderio d’ognuno di noi di voler disegnare un percorso che conduca alla felicità».
Mentre intorno c’è quel senso di autorevolezza che si può cogliere in una stagione vissuta a testa alta, sfidando chiunque e persino la sorte, Luciano Spalletti esce dagli equivoci, prende a spallate qualsiasi forma di cautela, lascia che la retorica e la prudenza restino argomenti marginali e si lancia, a modo suo, in quel vorticoso valzer dell’emozioni: la Storia, con la maiuscola, è vicina e pure lontana, e riscriverla rientra tra le idee meravigliose che hanno addobbato questi suoi nove mesi napoletani, pieni di calcio frontale e sfrontato, di una personalità sgargiante e di quella postura da hombre vertical che non ha paura di nulla.
«Affrontiamo una delle squadre più belle, che ci guarderà negli occhi e con la quale non dovremo mai abbassare lo sguardo, perché chi lo fa perde. Vanno fatti i complimenti a Gasperini – uno degli allenatori che vanno definiti bravi – e al club, perché hanno raggiunto livelli altissimi anche in Europa. Noi sappiamo di essere attesi da 95′ in cui ci sarà da fare a sportellate e però se stiamo a giocarcela, vuol dire che siamo stati capaci di superare i problemi vissuti e che dunque possiamo farcela anche adesso. Ecco, se non ci dite che siamo in emergenza, siamo già felici».
In questo microcosmo in cui c’è vita (eccome), sono stati spazzati via gli alibi, la cultura dei perdenti, ed è stato fatto germogliare una speranza da coltivare ignorando gli imprevisti che appartengono al gioco: non ci saranno Di Lorenzo, Rrahmani e Osimhen ma in quest’ora e mezza che porta in sé un lembo di scudetto, ci sarà l’energia positiva d’una squadra che sa bene ciò che vuole. «Io sono fiducioso di ciò che lo sguardo dei miei calciatori mi trasmette. L’atteggiamento che vedo racconta molte cose. Immagino ci si chieda chi sostituirà Di Lorenzo e mi permetto di sottolineare che Zanoli me lo immaginavo titolare in una partita contro una squadra forte come l’Atalanta già a Dimaro. Non ha giocato, perché davanti a lui ha trovato un uomo che è la continua evoluzione del ruolo di esterno».
Si vivrà alla giornata, ovunque, da Bergamo a La Spezia, ma si rimarrà a dondolare nell’incertezza ovunque, senza però sentirsi appesi ad un soffio di vento. «Ci sono tanti punti in ballo e le possibilità per le 5 che sono vanno divise in percentuali quasi uguali, perché le potenzialità delle squadre sono le stesse. E’ chiaro che per noi molto dipende dalla sfida di Bergamo». Da quel tridente (quasi) insolito a cui si voterà – Politano, Mertens, Insigne – ma da una squadra che gli somiglia, sin dal primo giorno: c’erano tracce di rancore, intorno al Napoli, e ora c’è un filo d’allegria e persino uno scudetto che si può scorgere ancora.
A. Giordano (CdS)