In settantanove anni, portati splendidamente, Salvatore Carmando ne ha vissuti trentadue in quel «testa o croce» che a Bergamo, 8 aprile ‘90, diventa il tormento della sua vita. Le mani che Diego portò con sé ai Mondiali in Messico, servono ora per disegnare un tempo che non è mai evaporato ma anche per tratteggiare un cerchio, che accompagna il sorriso di quella maschera umana e dolcissima. «Un classico, non mi sorprende e non mi stanco di ascoltare. Ormai ci ho fatto l’abitudine». C’è una moneta da 100 lire che ancora resta lì a volteggiare nella rievocazione d’una domenica così lontana e invece straordinariamente vicina, perché intanto, nonostante si sia ormai piombati in un altro secolo, la narrazione procede. Come se uno scudetto potesse valere semplicemente 100 lire.
Carmando, provi a indovinare perché siamo qua. «La storia la conosco bene, diventa un classico ogni volta che il Napoli gioca in casa dell’Atalanta. Non si parla d’altro e non si parla che di me: facciamoci una risata, avrebbe detto l’immenso Totò. Però io non ho nulla da aggiungere, né devo difendermi: la vicenda è semplice nella sua dinamica, tra l’altro parlano le immagini, i referti medici. Siamo persone serie, se permettete, lo dice la storia personale».
Un «processo» che va avanti. «Che però di arricchisce sempre di nuove interpretazioni. E nessuno che invece ricordi la classifica finale: Napoli 51 punti, Milan 49. Dunque, scudetto a prescindere, se non sbaglio. Ma c’è qualcuno a cui piace alimentare questa leggenda!».
Nel carico di «indizi», la «famosa» frase ad Alemao: «Statte ‘n terra». «Basterebbero le foto per rendersi conto della differenza tra me e Ricardo. Io sono sempre stato piccolo, lui assai più alto di me. E se non si fosse abbassato, avrei dovuto prendere uno sgabello. Poi che si voglia fare un po’ di teatro, ancora adesso, procedano pure».
Senza che l’abbia voluto, Atalanta-Napoli è sistematicamente la partita di Salvatore Carmando. «Ma io ne farei volentieri a meno. Però conosco un pochino il calcio, per esserci stato dentro una cinquantina di anni circa, e so anche come va la vita. La prendo con filosofia, lascio che siano gli altri a dire: la verità non è una monetina, ha una sola faccia, e quella è la mia».
A. Giordano (CdS)