Da «tutto a posto» a «niente in ordine» in fin dei conti è un attimo, o forse no: e comunque, quando il 2 marzo, a Roma, Aurelio De Laurentiis e Mattia Grassani, il legale del Napoli, si salutarono con gli uomini della Procura Federale, il caso dell’Epifania, Juventus-Napoli parte seconda, sembrava effettivamente chiuso e prossimo all’archiviazione. Il calcio, che certo non può vivere in una zona tutta sua, che si potrebbe chiamare “bolla”, pareva avesse preso atto che gli incartamenti – quelli delle Asl di Napoli e di Torino – fossero stati sufficienti per dimostrare che Lobotka, Rrahmani e Zielinski fossero nelle condizioni per trasferirsi un attimo a Torino, avendo il club osservato le regole e pure le leggi e di «aver rispettato le norme in materia di Covid, sia quelle statuali che sportive». In sintesi, affinché ci fosse materiale sufficiente a disinnescare qualsiasi preoccupazione, De Laurentiis e Grassani presentarono, quel giorno, le risposte ricevute dalle due «Asl interessate», nelle quali veniva ribadito che «erano state rispettate le prescrizioni impartite», senza mai disattendere i protocolli.
I TEMPI. La giustizia ha i suoi tempi, la Procura Federale ha impiegato 84 giorni dalla partita, e una trentina o poco meno dall’ultima audizione di Roma, sono serviti al dottor Giuseppe Chinè, il capo, per inviare al Tribunale Federale le proprie argomentazioni: ci vorrà un mesetto per arrivare alla sentenza. Dettaglio, e anche curiosità spicciola, perché intanto è già cambiato lo scenario ed in appena ventiquattro ore il Napoli si è visto recapitare un’altra diffida: c’è (altro) lavoro da sbrigare sul tavolo dello studio dell’avvocato Mattia Grassani.
Fonte: Cds