C ’è la sindrome (e sembra di scorgerla in alcune notti) e c’è la «maledizione» (e quella si percepisce statisticamente): c’è un percorso accidentato che, quasi puntualmente, il Napoli intravede dinnanzi a sè, e proprio mentre sembra che stia per immergersi nel mondo dei sogni, s’accorge d’essere finito sulla soglia di un incubo. Quando Atalanta-Napoli s’avvicina, e sta per diventare un’ora e mezza di arrogante tensione, Luciano Spalletti deve allungare il proprio sguardo in infermeria, contare gli assenti sicuri (Rrahmani e Osimhen squalificati; Di Lorenzo, Meret, Petagna infortunati), farsi una passeggiatina nel girone degli incerti (Anguissa, Ounas e almeno per ieri il neo-influenzato Fabian Ruiz, che non si è allenato), aspettare che torni Zielinski (uscito zoppicante dalla sfida in Nazionale) e poi riordinare le proprie idee: gliene mancano cinque con certezza ma l’elenco potrebbe fatalmente allungarsi sino a nove. Il riassunto delle puntate precedenti, di quest’anno ch’è stato egualmente meraviglioso e che la sorte talvolta ha reso «orribile», è costellato da sfide dentro le quali ci sono finiti i rimpianti o anche no: perché a Torino, contro la Juventus, il 6 gennaio, nel sacco della Befana rimasero per vari motivi Koulibaly, Mario Rui, Anguissa, Fabian Ruiz, Lozano, Osimhen e Meret, con Manolas che aveva appena staccato il biglietto per tornarsene in Patria e una panchina nella quale c’erano (oltre a Petagna, Zanoli ed Elmas che entrarono), Idasiak, Marfella, Costanzo, Spedalieri e Vergara, il Napoli-3 insomma. A. Giordano (Cds)