Un volteggio, come un passo di danza. Di quelli che eseguiva ogni volta, dopo un gol. Solo che, quelli, erano passi di samba. Questo fu un arabesque. Che divenne un passo a due. Indimenticabile. Al Bolshoi del football, Juventus Napoli di gala, al cospetto dei potenti. Careca danzò un assolo elegante, nel cerchio di centrocampo, uno, due palleggi. Francini lo seguì da presso. Con la stessa cadenza. Un palleggio, poi due, anche lui, la sfera lasciata rimbalzare, e poi via, nel corridoio dove Antonio piroettava. Careca si lanciò. Il palco verde divorato da quei suoi passi impossibili da fermare. Il Comunale lo guardò presentarsi al cospetto di Tacconi. Lo vide eseguire un pallonetto perfetto, una parabola disegnata con la punta della scarpa. Un pas de chat ineffabile. Sergio Brio, le leve da fenicottero e la possanza da granatiere, superò se stesso, in una gara immaginaria ingaggiata con la velocità di un pensiero. Quello che divide il gesto normale da quello onnipotente. Riuscì a raggiungere il pallone un momento prima che varcasse la linea di porta. E quel pallone rotolò in una terra di nessuno, nel cuore dell’area bianconera. Nel mentre, Careca, danzando, nella inestinguibile furia della sua corsa, era terminato fuori dal terreno di gioco. Attratto dalla forza di gravità. In un momento vide la palla occhieggiare lì, sul prato, solitaria, senza padrone, in attesa dell’asta che la facesse bianconera oppure azzurra. Ritornò sui suoi passi, Antonio. Opponendosi a quella forza di gravità. Stavolta nelle sembianze autentiche, quelle del goleador di razza. Il castigamatti. Piroettò, nuovamente, sul terreno di gioco. Veloce come la saetta. In un solo momento controllò il pallone con il petto e si raccolse per il tiro. Quel gol fu un prodigio. Di esecuzione, genialità, potenza, forza, volontà. E classe. Careca segnò’ un gol che finì diritto nella galleria dei ricordi. Vincemmo cinque a tre. Careca come un’iradiddio. Ne fece due, quel secondo gol, una perla. Da annodare al collo assieme a tutte le altre, di quel Napoli prodigioso. Per accarezzarle, con la punta delle dita. Ogni volta che vogliamo.
Stefano Iaconis