Corriere della Sera:
“Per capire quanto siamo inguaiati, è sufficiente restarcene a Palermo. Con la turpe partita degli azzurri sul campo e poi anche e soprattutto con il colpo d’occhio su ciò che c’è fuori. Uno stadio preistorico per gli standard europei, pietrificato ai Mondiali di Italia 90 (come, del resto, molti altri impianti). E quindi fatiscente. Con mura marce. Pozzanghere di melma giallastra. Balaustre rugginose. Gradoni insicuri. Fili elettrici penzolanti. Bagni infetti. Un water per mezza tribuna, la porta scassata, lo sciacquone scassato, e donne e uomini avvolti nei tricolori dentro la stessa, mortificante fila. Che si congiunge a quella del bar, una specie di bar. Cannoli serviti a mani nude, l’incasso in nero, una cassetta colma di banconote, una tipa sfacciata: «Qui di scontrini non ne facciamo. Lo vuole o no, il caffè?». Mancini e Gravina vengono condotti in una stanza che dovrebbe essere la sala stampa. Pareti con la carta strappata, tanfo di chiuso, neon ingrigiti, steward che fumano, un vigile urbano che mangia il suo trancio di sfincione, mascherine abbassate, bottigliette rovesciate, sedie sbilenche come nemmeno in una sala giochi di Bogotà. Questo è lo stadio della quinta città italiana. Questo è il nostro calcio. E allora no, non ce li meritiamo nemmeno stavolta i Mondiali. Ma non solo perché, a ripensarci, forse Pellegrini e Tonali e magari Scamacca, avrebbero potuto giocare dall’inizio. È la nostra idea di pallone che è vecchia. Malata. In agonia”.