L’Italia non andrà ai Mondiali. Appurato rapidamente ciò, è evidente l’urgenza di una soluzione a una situazione oggettivamente imbarazzante. La risposta è la stessa di 5 anni fa: i giovani. Sì, ok, tutti d’accordo. Ma dove sono? Facile parlare di giovani da cui ripartire, se poi non ci sono: numeri alla mano, in Serie A gli Under-21 sono circa 2,7 per squadra, ma giocano pochissimo (solo il 4% dei minuti complessivi; ad esempio Bove ha giocato 9 partite, racimolando solo 52 minuti: una miseria). Se n’è reso conto anche l’allenatore della Nazionale Under-21, Nicolato, lungimirante nel dire che tra poco dovrà convocare giocatori della Serie C, mentre le altre nazionali possono vantare tra i titolari giocatori che si impongono nei rispettivi club e accumulano anche esperienza internazionale: un confronto dall’esito scontato, umiliante e frustrante. Questo perché anche la Serie B non è più quel campionato dove mandare i ragazzi a “farsi le ossa“: 3,7 Under 21 di media in rosa, 7% dei minuti giocati, 0,8 Under 21 titolari in media per ogni squadra, il 65% entra oltre il 70’. Di fatto, dalle parole si dovrebbe passare ai fatti, ma se il 30% degli italiani giocano nelle formazioni primavera, allora il problema è anche di un calcio che guarda solo ai risultati e non alla crescita di un professionista. In questo modo i giovani italiani vengono soppiantati dagli stranieri perché anche a livello di costi sono più economici e dovrebbero garantire maggiori risultati. Forse è necessario fare un passo indietro e accettare di continuare a fare brutte figure a livello nazionale e internazionale solo per farli crescere questi ragazzi, ingioiare il rospo per ripartire. Stavolta per davvero, per favore.
Fonte: Salvatore Riggio, Il Mattino