Sono volati via 254 giorni da quando, lanciandosi nel futuro a petto in fuori, Luciano Spalletti lasciò che Napoli diventasse l’ennesima tappa del suo tour dell’anima: un altro, al suo posto, si sarebbe almeno posto una domanda, priva di retorica («Che è successo, una catastrofe?»); e mentre in quell’atmosfera pigra e anzi depressa, tra i veleni sparsi qua e là dalla dietrologia più rovinosa, s’annusava ancora l’effetto devastante d’una qualificazione in Champions League buttata via e si procedeva con processi sommari sulla consistenza di quei talenti abbaglianti, l’allenatore scelse il profilo alto.
«Io sono innamorato di questa squadra dal primo momento in cui ho cominciato a seguirla».
Ci aveva messo gli occhi, interessato, verso gennaio 2021, alla prima telefonata, sapeva che poteva succedere qualcosa: e quando il Napoli divenne suo, ormai ne aveva scovato – ma da lontano – pregi e difetti da analizzare ancora e però sotto una lente d’ingrandimento.
«Ho con me calciatori che cercano sempre di migliorare il proprio livello. Ci restano da raccontare ancora nove storie e sono sicuro che metteremo più di quello che abbiamo in questi due mesi. Percepiamo un entusiasmo incredibile, il Maradona non può rappresentare pressione per noi, semmai lo può diventare per i nostri avversari. Abbiamo tifosi straordinari, ai quali dobbiamo restituire qualcosa».
C’è nell’aria quel senso di felicità composta, uno stadio che rappresenterà un “pieno” di energia e un Napoli che saprà cosa chiedere a se stesso, a questa sua vita abbellita da un calcio ora verticale e ora “palleggiato”, alle sue virtù capaci di spazzare via quel disorientamento collettivo, a quella natura un po’ “scugnizza” che pare di scorgere pure nel ghigno di Spalletti che riempie la vigilia con un messaggio diretto:
«Abbiamo queste nove avventure da scrivere e dobbiamo viverle da protagonisti. Le percentuali scudetto – se guardiamo la classifica – favoriscono ovviamente chi sta davanti o chi, come l’Inter. ha una partita da recuperare. Ma se focalizziamo la nostra attenzione sul valore delle quattro squadre, allora dico che si può equamente pensare che ognuna abbia il 25% delle possibilità. Abbiamo tenuto botta quando ci sono toccati i nostri problemi, li abbiamo affrontati e superati. E, per esempio, ho visto molto bene Insigne, in questi giorni: il mio problema, con lui, nascerà tra tre mesi, quando non lo avrò più a disposizione».
TESTA E PIEDI
Qui dove pareva avessero bruciato l’erba, solo a maggio scorso, e non c’era neanche un filo d’ottimismo, sembra si possano addirittura cogliere quadrifogli: Napoli-Udinese è un’altra frontiera tra l’estasi e il tormento e però, adesso che c’è un orizzonte, Spalletti resta a guardare in quello spazio dove ondeggia il sogno, da afferrare senza indugi o perlomeno da attraversare finché sarà possibile.
«Affrontiamo un’avversaria costruita bene da Marino, perché Pierpaolo crea ordine in società e ciò si vede anche in campo. Noi dovremmo essere bravi a saper stare in equilibrio e a gestire la partita, con la testa nei piedi e i piedi dentro la testa. Sulla formazione, non ho neanche un dubbio e forse neanche sull’atteggiamento che dovremo assumere durante questa gara insidiosa: sarà un 4-3-3 mischiato a 4-2-3-1, ché poi la differenza è minima»
. È intorno a sé ch’è diventata enorme, gigantesca: ora c’è una Napoli che ha ricominciato a sorridere.
A. Giordano (Cds)