Ha scelto Napoli rinunciando alla coppa Uefa con l’Udinese. Poi ha indossato per ultimo la maglia numero 10 di Maradona al San Paolo. E adesso ha puntato sugli Emirati Arabi per la sua nuova carriera da allenatore: Roberto Pampa Sosa ha un cuore napoletano che batte anche a distanza di chilometri.
Iniziamo dal presente: come va negli Emirati?
«Alleno la squadra Under 21 del Dibba Hisn. Sono arrivato a gennaio 2021 e lavoro con Bruno Banini, preparatore atletico argentino, e Roberto Conti, allenatore in seconda, italiano come gli altri componenti dello staff. D’altra parte mi ha voluto qui Morris Pagniello, agente Fifa, insieme a Naser Tamimi».
E lei che tipo di allenatore è?
«Lavoriamo molto sull’aspetto fisico e di coordinazione. Soprattutto guardo molto la fase difensiva e lasciamo grande libertà in avanti. Mi sono dovuto adattare ad una cultura totalmente diversa rispetto a quella occidentale. In particolare penso alle preghiere durante gli allenamenti: è una cosa che va rispettata».
Come è arrivata questa opportunità?
«Ero in Argentina, praticamente fermo da 6-7 mesi. Perché a causa del Covid era stato interrotto il campionato della serie B boliviana dove allenavo. Quindi quando è arrivata la proposta da parte di Pagniello ho subito detto di sì. Ho impiegato pochissimo a innamorarmi di questo posto: mi trovo benissimo e le strutture sono di altissimo livello».
Ma il Pampa Sosa cosa vuole fare da grande?
«Il mio obiettivo è allenare una prima squadra. Magari in Argentina o in serie A in Italia».
E per farlo a chi si ispira tra i suoi maestri?
«Il mio primo maestro in Argentina è stato Carlos Griguol. Poi ho avuto tanti allenatori bravi e a Napoli ho potuto seguire da vicino e apprezzare il lavoro di Sarri e Benitez. Del primo mi piaceva la fase difensiva, del secondo quella offensiva».
E Spalletti, che è stato suo allenatore ai tempi dell’Udinese?
«È stato il migliore che abbia avuto in Italia. È un allenatore di grande personalità. Dimostra grande calma e non guarda in faccia a nessuno. Dice sempre quello che pensa guadagnandosi così il rispetto da parte del gruppo. Verrò a trovarlo appena finisco il campionato qui negli Emirati. A ottobre ha fatto gli auguri a mio figlio per i suoi 20 anni e ci siamo dati appuntamento».
Suo figlio Tomas come se la cava sotto porta?
«È nato a Udine ma tifa Napoli. E questa mi sembra la cosa più importante. Poi dopo una bella trafila nel calcio giovanile ha già esordito nella serie A argentina nel Deportivo Defensa y Justicia e sta facendo tanti gol. È un bel ragazzone: attaccante di un metro e 90 con passaporto italiano. Il suo sogno è giocare in serie A».
Magari allenato da lei…
«Ogni volta che lo vedo in campo spero solo che arrivi al 90′ senza farsi male. Poi se gioca bene e fa gol, meglio».
Cosa rappresenta per lei il Napoli?
«Si fa prima a dire cosa rappresenta per me Napoli. Perché mi sento napoletano a tutti gli effetti. Non è la mia seconda casa: è la mia casa. Ho anche una figlia alla Sanità dal mio precedente matrimonio e la mia attuale compagna è di Capodimonte».
Lei è arrivato nel 2004 lasciando l’Udinese.
«Grande merito di Pierpaolo Marino che mi ha convinto dicendomi che sarei diventato re di Napoli. E ha avuto ragione. Gli devo tutto: lo considero il grande amico che mi ha regalato il calcio».
A Napoli ha indossato anche la maglia numero 10, quella di Maradona…
«Diego per noi argentini ha rappresentato molto. Da bambino mi mettevo alle 10 del mattino davanti alla tv per vedere le sue partite nel Napoli. Poi ho giocato nel suo stadio e l’ho conosciuto nello spogliatoio del Napoli dopo aver indossato la numero 10 per l’ultima volta al San Paolo. Quando l’ho incontrato al Gimnasia gli ho fatto firmare quella mitica maglia e abbiamo fatto una foto. È stato un momento indimenticabile. È il filo conduttore che unisce me e Diego».
B. Majorano (Il Mattino)