Prima che arrivassero il Pallone d’oro, il Mondiale, le Coppe e i trofei, c’è stato un 7 marzo del 1993: e in un pomeriggio freddo ed emotivamente tempestoso, in una Juventus-Napoli (poteva mai esserci un’altra partita per il battesimo?),
Fabio Cannavaro non vide nulla di tutto questo, né gli onori né la gloria:
«Ero un ragazzo di diciannove anni che sognava».
Quando nacque questo fenomeno paranormale, un fermo-immagine della memoria che va a illanguidirsi, non era possibile leggere nel futuro, né sospettare cosa sarebbe diventato quello scugnizzo dalla faccia d’angelo, il simbolo d’una epoca che gli è appartenuta dal Napoli al Parma, dall’Inter alla Juventus, dal Real e poi sino alle panchine dell’Al-Ahli e del Guangzghou, dell’Al Nassr, del Tianjin, della Nazionale Cinese: l’eroe d’un Mondo che sta dentro ad un urlo:
«Caaannaaavaaaro».
Ricorda tutto, Fabio, di quel debutto? «Nel dettaglio. La riunione tecnica, Bianchi che mi dice: giochi te, Fabio. L’analisi della partita, il dubbio su chi dovesse andare su Baggio e chi su Di Canio, che poi sarebbe toccato a me. I pensieri. Le vibrazioni».
È stata una gran bella vita, quella di Fabio Cannavaro. E ora ne sta (ri)cominciando una nuova. «Sono al computer a studiare. Guardo le partite, tutte. Osservo, mi aggiorno, memorizzo dati dei calciatori. Non ho fretta di scegliere, aspetto: ho avuto la possibilità di parlare con la Federazione polacca, ma avrei avuto poco tempo per preparare uno spareggio per il Mondiale che, purtroppo, non si giocherà perché intanto c’è di mezzo una guerra. Ho avuto il piacere e l’onore di parlare con Everton, Watford e Corinthians. Mi guardo intorno e vedremo: non voglio sbagliare la scelta, per portarmi appresso il bagaglio d’esperienza di sei anni da allenatore».
Tra l’altro, che si sappia in giro, lei è anche “in regime” di detassazione grazie al decreto crescita… «Vuol mettere… Costo meno di quello che si possa sospettare».
Saremo seri, d’ora in poi: Pioli ha indirizzato il campionato? «Ha lanciato un messaggio, questo sì, ma per vincerlo c’è ancora un gran lavoro da fare. Io continuo a pensare che, vista l’evoluzione della Juventus, sarebbe un errore madornale considerare Allegri irrimediabilmente escluso dalla lotta; e il Napoli, che ha perso l’altro giorno, rimane in corsa. È una sfida a quattro».
Cosa l’ha colpita del Milan? «La naturalezza con cui si cuce addosso un abito adatto alle caratteristiche altrui. Ti gioca nella maniera più idonea per soffocarti e quando ti attacca, lo fa con l’eleganza e l’atletismo di Theo Hernandez e di Leão. Al Napoli ha rubato la possibilità del palleggio».
L’Inter ha una classifica falsata, per ora. «E un’ampiezza alla quale attingere. Però le partite vanno vinte, Inzaghi lo sa bene e non è tipo da cullarsi sulle prospettive o sui pronostici. Ragioniamo alla luce di quello che esiste: per ora, Milan davanti e le altre più o meno staccate».
Pare che per Cannavaro le gerarchie esistano ma sino a un certo punto. «Il giochino delle percentuali non mi diverte e le variabili sono tante. La Juventus aspetta l’Inter in casa, per dirne una. Il Milan, chi l’avrebbe detto?, ha pareggiato con la Salernitana e l’Udinese e poi è andato a vincere a Napoli, contro un’avversaria che sette giorni prima era stata capace di prendersi tre punti a Roma, con la Lazio, in un finale da uomini forti. In casi del genere, che sembrano quasi estremi, sarebbe eccessivo andare a cercare una favorita, ammesso che si possa: lo scudetto è un affare per quattro».
Il Napoli ha pagato la tensione, una forma d’incapacità nel gestire fasi e partite del genere? «La grande attesa qualcosa ha tolto, però anche prima che cominciasse la partita dell’Olimpico si dicevano le stesse cose, memori della sconfitta con il Barcellona. Il calcio muta di settimana in settimana, ci sono picchi di rendimento e pause che non si possono prevedere. E tutto ciò proibisce di sbilanciarsi».
Una certezza ce l’ha, comunque. «Ci divertiremo sino all’ultima giornata o magari poco prima. Non immagino strappi decisivi che chiudano la sfida in anticipo: restano trenta punti a disposizione, che per l’Inter diventano trentatré, e pensate un po’ cosa può succedere».
Stasera c’è la Champions, e il Liverpool, per Inzaghi. «Che ci proverà, perché nulla è deciso. Ci vuole un miracolo ma in passato ne sono stati fatti e in futuro ne vedremo. Chi può negare la speranza, quando si ha un organico come quello nerazzurro? Poi, dopo, si scoprirà cosa sarà rimasto: se la delusione per essere stati eliminati o l’entusiasmo per essere stati in grado di ribaltare una situazione disperata. Sono fattori pure questi».
In Europa rimaniamo dietro, quasi distanti. «Non è un luogo comune: la questione è culturale. Bisogna riempire le partite di intensità e rimuovere quei vuoti costruiti intorno alle polemiche. Gli arbitri devono lasciar giocare, come ha fatto Orsato in Napoli-Milan. E poi ci manca fisicità, quella che si trova in Inghilterra, in Germania e anche in Francia».
Scelga gli uomini-scudetto. «Il Milan ha Giroud che segna gol decisivi utili per fare la differenza e sta per riabbracciare un Ibrahimovic che nessun altro può godersi, solo Pioli. L’Inter ne ha più di uno. Il Napoli dipende da Osimhen, dalla sua capacità di orientare il destino con i suoi gol. E la Juventus ha preso un attaccante pazzesco: Vlahovic è capace di difendere la palla con il corpo come pochi, è cattivo sullo sviluppo centrale e su quello laterale. Mi sembra un po’ stanco, perché giocare sempre toglie forze, ma alla sua età si smaltisce in fretta l’acido lattico».
Sta per avvicinarsi il momento della verità per la Nazionale. «Impossibile pensare che pure al prossimo Mondiale non ci sia l’Italia. Siamo i Campioni d’Europa e lo siamo diventati attraverso un modello di gioco che ha entusiasmato. Il destino e gli episodi ci hanno sottratto la qualificazione, ma abbiamo un serbatoio di talenti che possono aiutarci».
E alcune assenze, per esempio Chiesa o anche Spinazzola, che peseranno. «Calciatori che spostano, ognuno a modo suo. Averceli darebbe ricchezza, però, rispetto agli Europei, Mancini avrà qualche scelta nuova: penso a Zaniolo, che ha recuperato; a Pellegrini, che sta tornando sui suoi livelli; e a Scamacca, che è impressionante. Paolo mio fratello segue spesso il Sassuolo, la bontà di quella società è testimoniata dalla capacità di scovare i talenti, di comprare e poi persino di venderli. Complimenti davvero a Carnevali, all’area tecnica».
Per un napoletano, è impossibile evitare un riferimento a Insigne: ma è possibile giocare sapendo ch’è finita? «Lorenzo non è piaciuto neanche a me contro il Milan, ma ha corso, eccome. Immagino, conoscendolo, che abbia voglia di staccarsi nel miglior modo possibile, non si risparmierà, non è nella sua natura, e anche stavolta si è sbattuto. Poi ci scappa una gara un po’ così, ma lui è lo stesso che la domenica precedente aveva impresso la svolta con la Lazio. Solo che talvolta ce ne dimentichiamo».
A. Giordano (Cds)