In quel tour dell’anima, avviato tra le nubi «tossiche» 240 giorni fa, c’era nascosta un’idea meravigliosa: e ora che in questo lungo viaggio si scorge germogliare la speranza, quel sogno secretato gelosamente comincia ad assumere forme definite.
«Possiamo rendere immortali le nostre carriere».
La vita è adesso, nelle ombre d’una serata in cui il fascino e le emozioni, s’intrecciano (pure) pericolosamente: ma standosene da solo nei riflessi del passato, in quegli otto mesi attraversati con l’autorevolezza ch’è servita per ricostruire (il) Napoli, Luciano Spalletti scova i segreti d’un miracolo che gli appartiene e che umilmente concede a quel macrocosmo del quale si circonda: “Io la mattina quando mi faccio la barba non devo dirmi bravo. In quello che fanno gli allenatori, c’è sempre di mezzo le qualità delle persone che ci circondando e della quale riceviamo disponibilità. Quando sono arrivato, tutti dicevate: tanto, prima o poi litiga con qualcuno. E invece, eccoci qua. Bravi sono quelli che lavorano in un certo modo, lo sono i miei ragazzi, professionisti esemplari, che devono render conto al sentimento di una città come questa. Qui c’è una passione che brucia continuamente anche quando sono in silenzio”.