SuperNews ha intervistato Angelo Gregucci, ex difensore di Taranto, Alessandria, Lazio, Torino, Reggiana, con un lungo percorso da assistente, collaboratore tecnico, vice e allenatore di più di 16 squadre, tra cui spiccano Fiorentina, Atalanta, Sassuolo, Manchester City, Inter e la Nazionale.
Quanto Luciano Spalletti è riuscito a plasmare e dare una mentalità vincente a questo gruppo? I partenopei sono qualitativamente e numericamente attrezzati per poter vincere un titolo quest’anno?”Spalletti sta cercando di costruire qualcosa di importante in una piazza molto complicata sotto il profilo gestionale. Napoli è una piazza piena di aspettative, molto passionale, una passione che talvolta diventa pressione negativa, come per esempio quando, ai tempi di Sarri, si è detto e scritto di “aver perso uno scudetto in albergo”. Poi, il progetto che parte da De Laurentiis nasce con un’idea: quella di prendere pochi giocatori ma top. A livello tecnico, credo che il Napoli sia già da tempo una squadra con grandi calciatori. E’ stato sfortunato Gattuso, che ha vissuto l’era pandemica in modo terrificante, Osimhen non ha mai giocato quando c’era Rino in panchina. In questo momento il Napoli vuole concretizzare un lavoro che viene da lontano, ora nelle sagge mani di Luciano Spalletti, un allenatore che dovrà cercare di portare a casa qualcosa lì dove c’è la possibilità: un obiettivo può essere l’Europa League, così come anche la lotta scudetto, in cui il Napoli è protagonista. Il problema di questa squadra è che alcuni giocatori del nucleo storico, quelli con grande senso di appartenenza, sono arrivati al capolinea: penso a Lorenzo Insigne, che andrà a giocare nel Toronto e che ha sempre visto Napoli come la concretizzazione dei suoi sogni da bambino, o a Dries Mertens, che da tempo ormai i partenopei chiamano “Ciro”. Quindi, sarà necessario che questa eredità venga presa da giocatori come Koulibaly, Zielinski, Fabian Ruiz che, essendo molto più giovani di quelli nominati, dovranno prendere le redini del Napoli e ricreare questo grandissimo senso di appartenenza”.
Che squadra ti sembra la Lazio guidata da Maurizio Sarri? E’ ancora troppo Immobile dipendente oppure ha assunto una sua fisionomia indipendentemente dall’attaccante biancoceleste?“Immobile dipendente lo sarà sempre, perché avere un cannoniere che da oltre 5 anni supera i 20 gol significa avere tanto a livello individuale da un calciatore “storico”, nel senso che ha battuto tutti i record ed è entrato nella storia del club. A parte questa considerazione oggettiva, che trova riscontro nei numeri, la squadra biancoceleste trova difficoltà a passare da una tipologia di calcio, quella del quinquennio di Simone Inzaghi, ad un’altra, quella di Sarri. Deve passare del tempo affinché la squadra assimili quanto più possibile il gioco di Sarri. Devo dire che, dopo 6-7 mesi di lavoro del tecnico toscano, sto già notando dei miglioramenti. I giocatori stanno andando incontro alle sue idee, anche se alcuni di loro hanno fatto e fanno più fatica, perché precedentemente Inzaghi aveva cucito loro addosso un vestito perfettamente adatto alle loro caratteristiche, mentre adesso devono assimilare l’idea di una squadra differente”.