Ali Bennacer (ex arbitro): «Dall’inferno del Cairo alla Mano de Dios, che anno quel 1986!»

La carriera di Ali Bennacer, ex podista e arbitro di calcio tunisino, è prevalentemente nota nel mondo per la sua direzione dello storico match dei quarti di finale dei Mondiali del 1986 tra Inghilterra e Argentina a Città del Messico, quando Diego Armando Maradona si incoronò a livello planetario con una leggendaria doppietta. Bennacer fu protagonista per non aver visto la Mano de Dios. Eppure, tre mesi prima accadde un episodio che mise in pericolo la sua presenza al Mondiale messicano.
Bennacer, come fu designato lei per Inghilterra-Argentina? «La Fifa voleva che l’arbitro di quel match fosse il più neutrale possibile e io ero l’unico africano rimasto».
Quel 22 giugno faceva molto caldo a Città del Messico… «Ma io ero abituato. Ero stato atleta di fondo e mezzofondo e durante la preparazione del Mondiale ero stato tra gli arbitri con più resistenza. Per me arbitrare quella partita fu facile».
La Mano de Dios, tuttavia, lei non riuscì a vederla. «Ero lontano dall’azione e non doveva toccare a me decidere. Il più vicino era il guardalinee bulgaro Dotchev, che quando fu consultato mi disse di non aver visto niente. In realtà io mi ero attenuto alle regole imposte dal capo degli arbitri, tale Walton, che per ironia della sorte era inglese. Prima del Mondiale ci disse che il più vicino all’azione avrebbe deciso. E Dotchev mi disse di non aver visto Maradona colpire con la mano. A fine partita, infatti, gli inglesi dissero che io ero stato perfetto, ma che il guardalinee andava sgozzato…».
Poi, cinque minuti dopo, arrivò il capolavoro. Il gol più bello di tutti i Mondiali. «Quando vidi Maradona partire in cavalcata misi in bocca il fischietto, perché pensavo che lo avrebbero falciato per evitare che andasse in rete. Iniziai a correre insieme a lui per non stare troppo lontano dall’azione e fui sul punto di fischiare fallo in due o tre occasioni, ma Diego era più veloce di tutti. Fu un’opera maestra di un genio del calcio».
Fu la partita più importante da lei mai arbitrata? «Di sicuro non la più difficile. Tre mesi esatti prima mi era toccato dirigere la finale di Coppa d’Africa tra Egitto e Camerun al Cairo. Faceva caldo quasi come a giugno a Città del Messico e sugli spalti c’erano 95000 spettatori. Lo stadio era ovviamente tutto a favore dei padroni di casa e si respirava un clima di tensione. L’Egitto non poteva perdere. E ci fu un momento in cui provai molta paura».
Quando? «Il portiere del Camerun N’Kono era uscito in presa alta e fu caricato. Per me era un chiaro fallo e fischiai quasi subito annullando il gol dell’Egitto. In quel momento dagli spalti iniziò a piovere di tutto e la gente manifestò una rabbia furiosa. Sembrava un inferno dantesco».
Alla fine l’Egitto vinse ai rigori. «Per fortuna. Credo che se avesse vinto il Camerun avrei potuto correre un serio pericolo. Rispetto alla finale in Egitto, Inghilterra-Argentina fu un gioco da ragazzi. E la mia decisione di fischiare il fallo su N’Kono e di non favorire i padroni di casa si rivelò fondamentale per il mio futuro immediato, perché se avessi aiutato l’Egitto a vincere con una decisione approssimativa o dettata dalla paura dell’ambiente locale probabilmente la Fifa non mi avrebbe preso in considerazione per poter poi arbitrare ai Mondiali. E va ricordato che io fui l’unico direttore di gara africano ad arbitrare in una fase così avanzata come i quarti di finale».
Quale ricordo conserva di quella partita? «Avere presenziato in modo neutrale alla più spettacolare esibizione calcistica di sempre, con il più grande calciatore della storia».

A. Moschella (Il Mattino)

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