Sa esattamente dov’è capitato. In un club che dista otto punti dalla salvezza. E in un calcio pericolosamente vicino a perdersi il secondo Mondiale di fila e persino a spaccarsi per conto suo. Danilo Iervolino, ufficialmente dal 13 gennaio, è il nuovo proprietario della Salernitana. «Mia moglie era atterrita. L’ho convinta che certe cose vanno vissute». Di fatto, ha salvato il club. Successivamente, lo ha rifatto in quattro e quattr’otto. Fosse per lui, non si fermerebbe qui. Rifarebbe altrettanto velocemente l’intero calcio italiano. Qualche idea in merito ce l’ha. Stiamo a sentire.
Iervolino, quando le è venuta l’idea di diventare proprietario della Salernitana? «Il 30 dicembre 2021».
Dicevamo sul serio. «Anch’io. Il 30 vengo a sapere che secondo la stampa sarei interessato all’acquisto del club. Mi ricordano che Salerno mi porta bene perché lì ho fondato l’Università Telematica Pegaso. Allora ho consultato le carte. Ho trovato un bilancio semplice e sano. Ho ricevuto le valutazioni dei gestori. Ci è bastato. Si trattava anche di un investimento piccolo rispetto a quelli in cui ci impegniamo di solito. Ho chiamato i miei collaboratori. Chi era a Dubai, chi a Cortina. Ci siamo messi al lavoro e il 31 ho effettuato il bonifico prima ancora di avere completato i documenti. In realtà siamo sempre piuttosto rapidi a concludere gli affari».
E il giorno dopo? «Mi sono svegliato su un altro pianeta. Un uomo senza passato. Di tutto quello che ho fatto, esisteva soltanto la Salernitana».
Il primo giocatore ingaggiato è suo nipote. «Ne abbiamo acquistati diversi. Lui è un Primavera che ha già esperienze rilevanti, comunque. E una storia. Il padre, mio fratello, è scomparso per una leucemia. Il ragazzo è come un figlio per me. Prima di tutto, ho voluto prenderlo per poterlo seguire e tenerlo vicino».
Arriviamo a Walter Sabatini. «Il primo gennaio. Una giornata intensa: otto ore davanti ai giornalisti a parlare della Salernitana. Ammetto che non provavo un brivido di emozione così forte da un po’ di tempo. Insomma, quel giorno persone che conoscevo mi hanno suggerito Sabatini come direttore sportivo. Walter è venuto in sede e ci siamo piaciuti subito. Abbiamo lo stesso modo di vedere la vita. È un uomo leale e una leggenda di questa industria. Esitava: io giovane imprenditore estraneo al calcio, la squadra ultima in classifica. Ma ha capito che il mio progetto prevedeva una rivoluzione dentro il campo e fuori. Abbiamo stabilito regole e modalità di lavoro. Pronti, via».
Le ha raccontato di avere un brutto carattere? «Come prima cosa. Aggiungendo: mi assumo le mie responsabilità, conosco il mestiere e ci salveremo».
Subito dopo ha esaurito il budget di mercato. «Eh, eh. Penso di sì».
In quattro parole, qual è la strategia per la salvezza? «Sabatini mi ha parlato di un instant team. Tre tipi di giocatori: prestiti di gente esperta, e questo ovviamente è solo un costo; quindi calciatori importanti che vadano a costituire il patrimonio del club e infine i giovani. Mi sembra abbia chiuso il cerchio: un 33% di giocatori per ogni categoria».
E se la salvezza non arrivasse, non c’è il rischio di ritrovarsi con una rosa insostenibile per la categoria inferiore? «Non siamo così sprovveduti. Nel calcio c’è il momento in cui bisogna investire e quello in cui si raccoglie. Siamo stati attenti a proiettare le spese su ogni scenario».
Non resta che aspettare la prima partita: lunedì con lo Spezia. «Sono convinto che di qui a fine stagione la Salernitana se la giocherà con tutti».
Il tecnico Colantuono è sotto esame? «Tutte queste cose sono completamente delegate a Sabatini».
Il calcio è un’attività gelosa: assorbe ogni istante. «Con i tifosi sono stato chiaro. Da domani ci sarà un nuovo amministratore, Maurizio Milan, che viene dal network globale di consulenza Ernst & Young. Quando i miei impegni diventeranno troppo assorbenti, io sarò solo il patron. E un tifoso presente allo stadio e molto esigente. In tutte le mie aziende una cosa è l’azionista, un’altra la figura del presidente ed amministratore delegato».
Una visione americaneggiante a cui in Italia non siamo abituati. «Abbiamo dato un’impronta manageriale al club. Ci sono tanti progetti. Anzi, un mondo nuovo, a partire dal digitale. App con cui sarà possibile ricevere videomessaggi dei giocatori, avere accesso al campo di allenamento attraverso un posto virtuale nel metaverso, acquistare i biglietti o prodotti della squadra. Con Technogym lanceremo un monitoraggio della performance che servirà a ottimizzare le prestazioni future: un laboratorio della Salernitana che in seguito diventerà un’azienda esterna. Poi l’aspetto sociale: la nostra è una delle pochissime squadre in osmosi totale con la città. Pensiamo a uno sportello per l’interculturalità e per i diversamente abili, a rapporti con le scuole del territorio per promuovere i veri valori dello sport: biglietti gratis, incontri con i giocatori. E punteremo forte sulla formazione dei calciatori con le academy e con infrastruture molto più aggreganti e avveniristiche di quelle che abbiamo».
Tutto molto bello. Ma la Salernitana si salva o no? «Abbiamo fatto il possibile, direi, rivoluzionando la rosa. Mi auguro che i tifosi siano soddisfatti del lavoro della società e di Sabatini. Purtroppo siamo arrivati in un momento di disagio del club. Però siamo fiduciosi».
Il disagio non riguarda solo la sua società. Per dire: dalla Lega parte una lettera per il Coni e il sottosegretario allo sport, a quanto pare non approvata da tutti i club. «Quando l’ho vista sono rimasto sbigottito. Prendo totalmente le distanze, non era stato deliberato questo. Se la Lega ne era a conoscenza, il fatto è ancora più grave. Invito tutti i presidenti a una riflessione. Parliamo di una società di diritto privato con venti soci. Ancora mi chiedo come sia possibile che la Lega si sia costituita contro la Salernitana a favore di altre socie. C’è da fare chiarezza. Soprattutto, c’è da attuare una riforma della Lega. Discontinuità non sugli uomini, che ancora non ho avuto modo di conoscere davvero, ma sui valori, sullo statuto comportamentale dei presidenti che deve cambiare totalmente. E anche quello degli amministratori: oggi sembrano quasi una controparte rispetto ai soci. Insopportabile. Va rivisto tutto il funzionamento della Lega, con nuovi obiettivi e un ritrovato spirito di coesione tra le squadre».
Questo lo sentiamo dire da tutti i nuovi presidenti di società. Poi nulla cambia. Anzi, cambiano loro. «Io sono un coraggioso. Siamo venti, per ciascuno di noi parla la storia. Ho portato avanti una rivoluzione nell’istruzione in Italia, penso di poterci riuscire anche qui. Ci sono persone intelligenti e sensibili nei confronti dell’industria calcistica, altri li vedo come capitribù che vanno anche in un certo modo sedati nel loro modo di stare in Lega. Sarebbero utili riunioni pubbliche della Lega. Nell’unica a cui ho partecipato ho sentito toni agitati e mi è parso tutto posticcio, raffazzonato, pieno di tempo buttato. Mi auguro di trovare buon senso nella maggioranza».
Par di capire che lei non si senta parte dell’area lotitiana. «Non ho il piacere di conoscere Lotito. Non è questione di uomini, è il sistema a dover cambiare in tutte le sue declinazioni. Inaccettabile ci sia contrapposizione tra club e organi di governo, inaccettabili certe azioni preparatorie. Tipo questa lettera, che scoperchierà un vaso di Pandora».
Per il calcio sciupone e confusionario è lecito chiedere risarcimenti allo Stato? «È pacifico che lo Stato non possa ignorare il calcio. Credo sia giusto che si concedano ristori com’è accaduto per altri settori. La Lega è restia a presentarsi al governo come interlocutore istituzionale. Un errore macroscopico. Siamo portatori di interessi fondamentali».
Incapaci però di contenere i costi e frenare il potere dei procuratori. «Una vergogna. Oggi sono gli agenti a decidere la destinazione dei giocatori. Ci vorrebbe un quadro normativo più rigido».
Dunque per lei la resistenza al cambiamento del calcio è un altro muro da abbattere dopo quello dell’università. «Il paragone regge. Il cambiamento spaventa, perché abbatte rendite di posizione. Ci siamo riusciti lì, mi sento abbastanza giovane da riuscirci anche qui».
Dopodiché ha preferito cedere quell’azienda. «Perché sono curioso. Ho sempre bisogno di nuovi stimoli, nuovi orizzonti. Adesso m’interessano la cybersecurity, la telemedicina, l’intelligenza artificiale».
Torniamo alla Salernitana. Lei e Ribery. «Non l’ho ancora incontrato. So che Sabatini tiene molto al rapporto con Franck».
Beh, non stentiamo a crederlo. Lei e i tifosi. «Non sono demotivati. Avrebbero preferito ripartire dai dilettanti piuttosto che cedere a compromessi sui valori. Stiamo imparando a conoscerci. Calcolo centomila persone appassionate e altre cinquecentomila occasionalmente interessate. Un bacino di utenza notevole».
Lei e lo stadio. «Ne parlerò in questi giorni con il Comune. L’impianto è bello e dignitoso, va ammodernato senza gettare via ciò che è buono».
Ma davvero ha avuto tutte queste idee nell’arco di due giorni? «Certo. E ciò che è di mia stretta competenza sarà realizzato entro la fine del campionato».
Avrà anche lei i problemi di tutti: la fidelizzazione dei giovani, l’appeal generale della Serie A.
«Non intendo dare lezioni. I problemi da affrontare mi sembrano evidenti: la qualità del segnale televisivo, la necessità di ampliare le modalità di trasmissione, i calendari da razionalizzare per aumentare gli spettatori allo stadio e l’audience televisiva, la distribuzione dei diritti».
Una società di calcio può produrre profitti? «Deve. A partire dalle plusvalenze, reali ovviamente. E può diventare una vera società di servizi. Non ho preso la Salernitana per perdere soldi».
In questa stagione l’obiettivo sportivo della Salernitana è chiaro. E tra qualche anno? «Intanto meritiamo di essere stabilmente in Serie A. Per passione, storia, infrastrutture. Questa è casa nostra».
Fonte: Marco Evangelisti (Cds)