Si fa quasi prima a contare le partite che ha giocato: quindici presenze e quattordici assenze. Come nella passata stagione: trenta presenze, ventuno faticose rinunce. Stiamo là. Osimhen c’è, anche se non si vede, non sempre, non spesso, perché il rischio è il suo mestiere e a lui non piace sottrarsi al pericolo: è appena rientrato, a Bologna, dopo due mesi circa dall’intervento chirurgico in cui ha sommato placche e viti, oltre alla sofferenza che ti lasciano tre ore in sala operatoria e tutto ciò che ne consegue, Covid compreso per la seconda volta. E per cominciare, non sapendo starsene in pantofole, è andato a fare a spallate con chiunque, per la serie: io non ho paura.
NOVE GOL IN 1037 MINUTI
Osimhen ci ha messo la faccia, anche se mascherata, ha rinunciato alla Coppa d’Africa, quando ha capito che ne avrebbe dovuto lasciare un pezzetto (piccolo, ma piccolo, così) e in questa sua attualmente (solo attualmente) vita part-time con il Napoli, sta semplicemente cercando di trovare se stesso, cioè il gol: ne ha segnati nove in 1037′, aveva una media da mettersi le mani nei capelli prima che andasse a sbattere sulla nuca di Skriniar a San Siro nella sfida contro i nerazzurri; e comunque una capacità di orientare le partite fuori dal comune. Osimhen è il valore da riaggiungere al Napoli, non soltanto la fisicità e l’atletismo, non semplicemente la naturalezza nell’incidere in maniera decisiva con quegli scatti che stroncano, non esclusivamente negli stacchi imperiosi indispensabili per uscire dalla nebbia. Osimhen è uno schema che esce dallo schema. Una prova del nove. A. Giordano (Cds)