Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Il volo”

A tutti parve volasse. Parve librarsi e restare lì, sospeso, sopra i sogni, le speranze, le attese di un intero stadio. Si sollevò e parve a tutti fosse una statua che, plasticamente, avesse preso vita dentro la fantasia del popolo che gremiva quello stadio. E’ così che chiunque era al San Paolo, in quel pomeriggio del 29 Aprile 1990, ricorda Marco Baroni. Ed il suo gol alla Lazio. Quello del secondo scudetto. Il gol che perpetuò una festa incominciata una settimana prima a Bologna. Fu uno stacco regale. Baroni sembrò arrampicarsi su una scala fatta di emozioni. Sembrò’ issarsi sostenuto dalle braccia di settantamila anime che lo tennero fino al momento nel quale la sua perfetta torsione depositò la palla alle spalle di Fiori, proteso in tuffo. Marco negli abiti di un dio del destino all’ incontro con il suo destino. Che lo rese eterno nella memoria azzurra. La palla fu servita, a Marco, da un altro dio, quello con la maglia numero dieci. Che disegnò una parabola perfetta, con quel suo piede fatto di materia diversa da quella umana. All’ alba di una partita che avrebbe conservato i restanti ottantatré minuti nello scrigno dell’attesa. Baroni si catapultò su quella palla come un ariete, tutto il suo corpo arm6oniosamente dentro una corrente d’aria ascensionale che lo avvolse trasportando con sé. Un Mercurio alato, messaggero di una novella da raccontare da Posillipo al vallone della Sanità. Baroni parve salire in cielo. Ad abbracciare le mani di altre migliaia di tifosi che non gremivano gli spalti, quel giorno, ma le nuvole intorno Fuorigrotta. Quelli che aspettavano, che erano stati già testimoni di un altro scudetto, e che si erano ricongiunti nuovamente, affacciandosi sul bordo vertiginoso di nuvole gremite in ogni ordine di stelle, ai loro figli, ai nipoti, ai nonni, che quel pomeriggio di primavera volarono assieme a Marco. Alcuni ancora volano. Anche Marco, anche lui vola ancora. Volerà per sempre.

Stefano Iaconis

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