Ops, è evaporato il Napoli: s’è perso dentro quegli ultimi due mesi nei quali s’è dovuto difender da nemici d’ogni genere e specie, ha messo in fila una serie di contagiati da far venire i brividi; ha osservato partire, dalla banchina della tristezza, Koulibaly, Anguissa e Ounas; s’è accorto che ormai il destino, sicuramente cinico e chissà se anche baro, gli ha sottratto un bel po’ di uomini, persino il capitano; e però compostamente è rimasto lì, ai margini d’un sogno che esiste, non si è dissolto.
«Se non siamo tutti, si può non fare benissimo come all’inizio campionato; ma anche senza tutti, si può fare meglio di quel ch’è successo nelle ultime partite».
C’è un altro Napoli, vero, non è più quello che ha indotto a lasciarsi andare dentro una favola; e però è rimasto lo stesso Spalletti, che non ha mai pensato d’adagiarsi dentro alibi da cui starsene alla larga. È un concetto nuovo, non inedito, che sfugge all’astratta idea del complotto della sorte e va a petto in fuori incontro alla proprie responsabilità, l’arma sottile per scuotere quegli uomini che gli stanno intorno e rappresentano la sua filosofia calcistica da ribadire a Bologna.
«Per vincere le partite è fondamentale avere giocatori a disposizione e in condizione. Noi nell’ultimo mese non li abbiamo avuti, per questo prevedo che il nostro cammino e il nostro rendimento sono destinati a crescere. Sono certo che il futuro del Napoli sarà migliore. Vogliamo arrivare tra le prime quattro».
A. Giordano (CdS)