Sebastian Giovinco: “Qui bella vita ma si esce dai radar del grande calcio”

Sebastian Giovinco ai microfoni del CDS parla della sua esperienza a Toronto

Sebastian Giovinco ai microfoni del CDS parla della sua esperienza a Toronto, possibile nuova esperienza anche per Lorenzo Insigne

Ha sentito? Lorenzo Insigne sta pensando seriamente di venire lì a Toronto. «Se ho sentito? Me lo chiedono di continuo. Anzi, qui sono proprio sicuri che sia fatta. Lo aspettano per marzo. Ma a me sembra strano». 


Perché strano? «Perché è il capitano del Napoli e non penso che molli una squadra in lotta per lo scudetto così, su due piedi».

Comunque, questo significa che anche a Toronto fermano i giocatori in strada per parlare di calcio. «Di solito non succede. È il bello, o il brutto, di vivere in un Paese a moderata cultura calcistica. Può essere un bene o un male, dipende da che cosa chiedi alla vita». 

Può dire a chi la interpella che comunque se ne parla per giugno. Secondo lei quella di Insigne è una buona idea? «Ripeto: dipende da che cosa si vuole. Personalmente io mi sono trovato bene a livello umano e ho trovato una città in cui la vita è facile. A livello professionale devi mettere in conto di sparire dai radar. Ho perso la Nazionale, ho perso visibilità. Se si è disposti a rinunciare a queste cose, si tratta di un’esperienza che consiglio a tutti». 

Dice che lì si passa inosservati. Eppure lei con 83 gol in quattro anni è il marcatore storico del Toronto e ha vinto la Major League Soccer nel 2017. «Questione di cultura. Il calcio non è visto come uno degli sport principali. Adesso cercano di promuoverlo perché nel 2026 Canada, Stati Uniti e Messico ospiteranno il Mondiale. Quando c’eravamo io, Gerrard, David Villa, Kakà era un bel campionato con gente di nome. In seguito il livello e l’interesse sono scesi». 
 
Sembra il destino ineluttabile del calcio americano: viaggiare sempre a pelo d’erba. «Nelle scuole si gioca tanto, molta gente ha voglia di provare il calcio. Ma è sempre una passione legata a situazioni contingenti, per esempio il Mondiale in arrivo. Manca la cultura, appunto. Le televisioni non trasmettono le partite, i bambini non assimilano il gioco come accade in Europa. C’è l’hockey, c’è il baseball e quelli rimangono dentro. Il Canada poi è ancora più esclusivo rispetto agli Stati Uniti. Quanto Toronto ha vinto in Nba c’è stato l’innamoramento per il basket, ma non è durato molto».

Quindi, se Insigne venisse a Toronto che cosa troverebbe? «Meno visibilità e più vivibilità. Una città bellissima in un Paese bellissimo, su questo non c’è dubbio. Una vasta comunità italiana. La tranquillità di andarsene dove vuole insieme con la famiglia senza essere importunato». 

Magari anche un bel mucchio di soldi. «Posso dire che quando sono arrivato io nel 2015 mi erano stati promessi mari e montagne che in realtà non c’erano. Ma non voglio scendere nei dettagli. Soprattutto, non rimpiango la mia scelta. Alla fine ho più gol e assist che partite. Sono andato bene, però non mi è servito a molto».

Com’è organizzata la vita di un calciatore in Major League? «Nulla da eccepire da quel punto di vista. Può colpire chi arriva dai campionati europei il fatto di dover percorrere distanze enormi viaggiando sempre in gruppo: niente aerei privati o mezzi propri. In Nba per esempio ognuno gira come gli pare. Io non avevo problemi, dove mi mettono sto, purché la compagnia sia quella giusta. Ad altri questa differenza di trattamento potrebbe dare fastidio». 
 
Insomma, a giocare al calcio non si diventa star. Niente inviti ai talk show di grido. «Intanto bisogna parlare bene l’inglese e neppure è sufficiente. Ho visto solo Ibrahimovic andare a una trasmissione di quel tipo. A Los Angeles, un’America completamente diversa dalla mia. Terra di latini, a densità calcistica molto maggiore». 

Il gioco della Major League si addice a Insigne? «Bisogna vedere. Dipende anche da come si sistemerebbe in campo il Toronto. Secondo me Insigne si troverebbe bene per la semplice ragione che è un gran giocatore capace di fare la differenza». 

 Specialmente in un campionato meno teso e veloce di quelli principali. «Più che questo, è un campionato meno tattico. Si trovano spazi, quindi giocatori come lui possono sentirsi a proprio agio. Ma la squadra deve metterlo nelle condizioni giuste. Non puoi aspettarti che un uomo di trent’anni improvvisamente cambi modo di giocare per adattarsi a un torneo nuovo o a un’idea di calcio differente». 

E questo per quanto riguarda il viaggio presunto di Insigne verso il Canada. Lei che è svincolato ed è passato anche attraverso il campionato saudita non potrebbe fare il percorso inverso? «Eh, sto aspettando che qualcosa si muova. Per il momento non ho offerte. Se non riuscirò a tornare in Serie A direttamente, aspetterò una stagione passando per la B. Non è mica una vergogna».  

Certo suona strano. In Italia non si guarda l’età a nessuno, Ibra a quarant’anni spopola e lei che ne ha meno di trentacinque non trova posto. «A me interessa solo tornare a giocare. Dovunque. Vado in Sudamerica, se serve». 

 

Marco Evangelisti (CdS)

 

 

 

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