Nessuno può impedire a un atleta professionista di dirigere la sua carriera verso gli obiettivi che ritiene più soddisfacenti. Ma se una «bandiera», nel cuore della sua maturità calcistica, punta a una prospettiva di mero arricchimento, c’è qualcosa che non funziona. Perché Insigne non è uno qualunque, ma uno di quei giocatori capaci
In questa vicenda non ci sono vincitori. Quando un calciatore come Insigne divorzia nel modo che sta per accadere, il primo sconfitto è il club. Perché si rende visibile che la fedeltà ai colori sociali non vale nulla, e che il patto fiduciario tra società e atleti è inesistente anche per un campione che ha segnato un’epoca. È un danno morale, ma anche commerciale. Perché l’attaccamento alla maglia è un valore nell’impresa calcistica. È vero che è finito il tempo dei Rivera, degli Antognoni e perfino dei Totti, ma il divorzio di un trentenne all’apice della carriera, che non lascia per la Juve, per il Barça o per il Real, ma per andare a giocare a Toronto, è una figuraccia per il Napoli. A. Barbano (Cds)