Luciano Spalletti: “Voglio un Napoli con il “Vesuvio” dentro. Non lascerò più la squadra sola”

Tuoni, fulmini e lapilli: perché per incenerire quel senso di smarrimento che si coglie in giro, s’avverte nell’aria e si legge pure nei bollettini medici di giornata, conviene osare, rifugiandosi pure nell’oleografia, ma di qualità. «Voglio un Napoli che abbia il Vesuvio dentro».

Mentre stanno per accendere le luci di San Siro e trascinare Spalletti in una dimensione che, il 19 novembre, prima che cominciasse la sfida con l’Inter, sarebbe apparso come un insulto al buon senso, è superfluo adagiarsi nei luoghi comuni d’una vigilia pure questa strana, consumata contando gli assenti e poi a chiedersi come stia Ounas: ma adesso che comincerà questo faccia a faccia con il Milan, ancor prima di infilare nel «Meazza» il palleggio, le diagonali di passaggio, le transizioni e lo sovrapposizioni, sarà indispensabile per il Napoli scovare in sé la propria natura vulcanica e rovesciarla in un’ora e mezza bruciante.

«Ci sono dei momenti – nel calcio e nella vita che ti trovi di fronte ad ostacoli talmente grossi da non poterli aggirare. Ma noi siamo duri, vogliamo andare a Milano alla ricerca dei nostri obiettivi. Con gli uomini a disposizione, possiamo vincere questa partita». 

 


LE TRE C. Ma in questo viaggio che va da San Siro a San Siro, in un mese divenuto orribile statisticamente e clinicamente, il Napoli ha scoperto d’essere vulnerabile, pure fisicamente, ma mai psicologicamente.

«Errori ne abbiamo commessi ma abbiamo anche continuato a fare cose buone. Forse gli episodi non ci sono stati d’aiuto e c’è mancato qualche dettaglio, però io il giochino degli infortunati non lo accetto: contro il Milan, ci sarà bisogno di corsa, di cuore e ci coraggio, abbiamo una rosa con 16-17 calciatori sufficiente per andare a giocarsela con ambizioni. Dipende da noi».

E dipenderà da un Napoli senza Koulibaly e Osimhen (ma si sapeva), senza Insigne, Fabian Ruiz e anche Mario Rui (e si temeva), però pure senza Manolas (e non l’avrebbe previsto neanche un applicato disfattista), volato in Grecia per tornare a casa, all’Olympiacos, e chiudere un’esperienza rovinosa per chiunque. «La storia di Manolas riguarda il rapporto tra il calciatore e la società e dunque è una questione della quale non parlo. Io per natura cerco sempre di vivere le vicende dei miei calciatori, ho visto Kostas felice e quindi sono felice per lui. L’organico a me continua a piacere, anche se è chiaro che togliendone un petalo, puoi scoprire che ti manchi qualcosa. Sono valutazioni che facciamo anche noi, ragionamenti che non devo fare qui. E poi ora il mercato è chiuso e andiamo avanti con quelli che abbiamo». 

GIOCA LUCIO. È utile voltarsi, e non solo per ripensare a ciò ch’è stato con l’Empoli e con l’Atalanta («abbiamo perso qualche palla di troppo e, di conseguenza, gli equilibri»), ma soprattutto per quel ch’è mancato a Spalletti, emarginato in tribuna, «disperato» nella sua sofferenza. «Facendomi espellere, ho creato dei problemi e penalizzato la squadra e le sconfitte sono responsabilità innanzitutto mie. Non succederà più. Io non posso fare a meno dei ragazzi, devo averli vicini e sono stato male a vedere la squadra da fuori». Un vulcano «dormiente».

A. Giordano (Cds)

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