Ex ct azzurro Roberto Donadoni (58) è stato Ct dell’Italia dal 2006 al 2008 Qui sotto eccolo allenatore del Napoli nel 2009 e giocatore del Milan (dal 1996 al 1996 e poi dal 1997 al 1999)
Seduto su uno dei divani della hall del Ritz Carlton, Roberto Donadoni racconta i suoi Milan-Napoli, scontri da scudetto nei quali lui e i rossoneri duellavano con gli azzurri di Maradona. Domenica sera a San Siro il passato tornerà d’attualità e i tre punti “pesanti” in chiave tricolore. L’ex ala destra, in aggiornamento professionale all’Arab Cup insieme a due collaboratori, a riguardo non ha mostrato dubbi.
Donadoni, che Milan-Napoli si aspetta? «Una partita tosta tra due formazioni che hanno delle assenze, ma che sanno quanto possono essere importanti certi appuntamenti per la classifica. Non siamo ancora al giro di boa del campionato, ma gli scontri diretti non sono gare come le altre».
Non è ancora chiaro chi ci arriverà con meno assenti… «Il Napoli è in difficoltà complici le non perfette condizioni fisiche di alcuni elementi e questo crea qualche apprensione all’ambiente, ma anche il Milan ha delle assenze di un certo peso. Può capitare nell’arco di una stagione».
La flessione di Spalletti va spiegata con gli infortuni? «La sua partenza è stata più che ottima e adesso bisogna solo capire se nel prossimo futuro riuscirà ritrovare continuità di risultati. Con tanti assenti di un certo spessore, è inevitabile che la qualità del suo calcio sia calata, ma anche il Milan non se la passa bene. Chi uscirà vincitore da questo incontro, acquisirà una buona dose di autostima».
Non trovarsi di fronte Osihmen, per Pioli sarà un bel vantaggio. «Il nigeriano fino all’infortunio aveva segnato molto e ha caratteristiche che impongono di giocare in un certo modo. Mi sembra comunque che Mertens stia facendo cose egregie e che la squadra, centrando il secondo posto nel girone di Europa League, abbia dimostrato di saper esprimere anche un calcio “diverso”. Secondo me lotterà fino alla fine per un grande obiettivo».
Rispetto a Spalletti, Pioli ha sfruttato il lavoro iniziato più di due anni fa e in classifica è avanti.
«Il Milan aveva già fatto cose buone lo scorso anno ed è ulteriormente cresciuto. Pioli è un tecnico di notevole spessore e la continuità con lui ha pagato».
Quando è stata importante la leadership del quarantenne Ibrahimovic sul gruppo?
«Ibrahimovic è un trascinatore e un campione altrimenti il Milan non lo avrebbe messo sotto contratto alla sua età».
Lei ha allenato a Napoli, ma è innegabile che il suo legame con i colori rossoneri sia più forte.
«Il Milan è una parte indelebile della mia vita. Non amo molto ricordare il passato, ma quella squadra creata da Berlusconi e Galliani ha segnato la mia carriera e sono riconoscente sia a loro sia a Sacchi e a Capello. Abbiamo vinto parecchio e ci siamo tolti soddisfazioni incredibili».
Per indossare la maglia del Diavolo, ha detto no alla Juventus. Al tempo non tutti avevano quel “coraggio”. «Fin da piccolo ero tifoso del Milan e la parte sentimentale del mio carattere ha prevalso sul resto (sorride, ndr). In realtà, parlando con il ds dell’Atalanta, Previtali, anche lui mi suggerì che la destinazione più giusta per me era Milano. L’ho ascoltato».
Le va di raccontarci un aneddoto legato a Berlusconi? «Il primo anno, quello in cui ci qualificammo allo spareggio per la Coppa Uefa dopo che il presidente decise di cambiare Liedholm con Capello, un giorno venne a Milanello, mi prese a braccetto passeggiando sui campi di allenamento e mi chiese se anche io, come molti, pensavo che quello che lui toccava si trasformasse in oro. Rimasi in silenzio e lui mi spiegò: “Qualche dote ce l’ho, ma soprattutto mi faccio un mazzo così e sul lavoro non trascuro niente. La notte dormo poche ore, credo nelle mie idee e sono convinto che anche con il Milan otterremo grandi risultati. Nella vita bisogna fare così”. Per un ragazzo di ventitre anni fu una vera lezione».
A Napoli di soddisfazioni se n’è tolte di meno. Perché? «Ho avuto troppo poco tempo a disposizione. Il club stava vivendo un momento di transizione e i primi mesi furono complicati perché l’organizzazione non era ancora perfetta come ora. L’esonero fu un dispiacere: mi sembrava di essermi integrato bene e la gente apprezzava il mio lavoro».
Napoli però le è rimasta dentro. «E’ una di quelle città che non può non piacerti e con alcuni amici sono ancora in contatto».
Vivendo lì ha capito quanto è forte per i napoletani il mito di Maradona? «Di Diego ho tanti ricordi legati alle partite da avversari. E’ stato uno di quei giocatori unici che stimolano anche gli avversari a migliorarsi. Giusto che lo stadio porti il suo nome».
Tra Milan e Napoli chi ha più chances di vincere lo scudetto? «Non dimentichiamoci che ci sono pure l’Atalanta, capace in questi anni di trovare una dimensione e un gioco importanti grazie all’abilità di Gasperini, e la capolista Inter, che ha la rosa meglio assortita di tutte nonostante le partenze di Lukaku e Hakimi. Inzaghi ha aggiungendo le sue idee a un gruppo forte».
Cosa è successo alla Juventus? «Un calo dopo anni di successi può essere fisiologico, ma un club organizzato deve sapere come prevenirlo. A volte ci si adagia sulle vittorie, pensando che possano continuare in eterno, ma un gruppo di dirigenti che lavorano a 360 gradi deve sapere come muoversi. Aver perso Ronaldo ha inciso, ma la classifica non mente: nella rosa c’erano anche altre carenze».
Tra gli allenatori emergenti chi le piace di più? «Italiano con la Fiorentina sta lavorando alla grande. Idem Andreazzoli all’Empoli, Zanetti al Venezia e Dionisi al Sassuolo».
Tra i giocatori la “rivelazione” è Vlahovic? «Diciamo che è definitivamente esploso. Il suo modo prorompente di fare e di approcciarsi alla gara aiuta i compagni».
Altri che l’hanno colpita? «Ho rivisto il Tonali versione Brescia, ma non avevo dubbi: era chiaro che il primo anno al Milan non avesse espresso il suo potenziale. Barella è già da tempo un grande a livello europeo e deve solo limitare le proteste. Chiesa il nuovo Donadoni? Le sue caratteristiche tecniche sono diverse dalle mie, ma è forte».
Perché, nonostante la vittoria dell’Europeo, le nostre formazioni in Europa faticano? «E’ soprattutto una questione di testa, legata al non sentirsi sicuri quando giochi all’estero contro avversarie più blasonate. Un simile processo l’ho vissuto anch’io al Milan, poi la mentalità di Sacchi spazzò via le incertezze e ci trasmise la convinzione di poter far risultato ovunque».
Il miglior interprete di questo “credo” adesso è Ancelotti che sta volando con il Real?
«Carletto è un allenatore super. La sua carriera è indiscutibile e quello che ha vinto parla per lui».
Dopo l’impresa di Wembley, la Nazionale si è infilata nella strettoia degli spareggi. Riuscirà a qualificarsi per il Mondiale? «Un’impresa come quella agli Europei è legata a momenti in cui pure un pizzico di buona sorte ti dà una mano. Durante il girone di qualificazione ai Mondiali purtroppo questo elemento è mancato e i due rigori sbagliati lo testimoniano. Ora, anche se non sarà facile, bisogna fare di necessità virtù. Tutti parlano della finale contro il Portogallo, ma non sottovaluterei la Turchia… Fermo restando che prima bisogna battere la Macedonia. Io comunque resto fiducioso e credo che l’Italia abbia ottime possibilità di arrivare in Qatar: bisogna tirare fuori il carattere, consapevoli che gli avversari ci affronteranno sapendo di sfidare la squadra campione d’Europa».
Quando la rivedremo in panchina dopo l’esperienza in Cina? «Sono aperto a tutte le opzioni: la Serie A è la Serie A, ma non escludo assolutamente un’altra avventura all’estero».
Fonte: A. Ramazzotti (Cds)