Alemao: “I milanisti ricordano la monetina, ma dimenticano la figuraccia di Verona”

Scudetti, veleni e rancori. Una rivalità a lungo feroce e cattiva. Ma il giorno della monetina di Bergamo ha segnato un punto di non ritorno. «Venni colpito da una 100 lire, ho sempre avuto la verità dalla mia parte. Mi spiace che al Milan non abbiano mai accettato quello scudetto perso, mi spiace che stanno sempre lì a ricordare con rancore e a lanciare accuse senza senso. Ma ora sono persino stufo: dove aver sfiorato la morte per il Covid, la mia vita è cambiata. E nulla mi fa più arrabbiare come prima». Riccardo Rogerio de Brito deve il suo soprannome Alemao, cioè tedesco, a un ingegnere amico del padre, che vedeva, in quel ragazzino, qualcosa della sua Germania.
Alemao, la sua prima stagione in Italia è quella 88-89. Come adesso era una corsa per il titolo tra Napoli, Milan e Inter. «Arrivai e gli azzurri erano reduci dalla delusione per lo scudetto perso nelle ultime giornate con il Milan di Sacchi che vinse meritatamente al San Paolo, tra gli applausi dei tifosi. Era una squadra incredibile, quella rossonera, piena zeppa di giocatori di altissimo livello in ogni zona del campo. E non parlo solo delle stelle olandesi».
Proprio Van Basten, non le ha mai perdonato lo scudetto vinto nel 90. Perché? «L’ho sempre molto rispettato, ma se ancora adesso sta lì a lamentarsi per quel campionato perso vuole dire che non ricorda bene, che non ha capito niente, che non è intelligente come pensavo. Ricorda la monetina, ma mica ricorda la figuraccia che fecero a Verona o gli episodi arbitrali a favore. E poi, quella 100 lire mi ha colpito per davvero. Io ho sempre avuto la forza della verità dalla mia parte, sempre. Non feci finta di nulla. Vincemmo quello scudetto perché eravamo più forti del Milan. Van Basten mi sembra un ragazzino quando dice certe cose».
Eppure, quella monetina l’ha sempre perseguitata? «Vero. Alla fine, il destino ha voluto che finissi a giocare nell’Atalanta. E anche lì, un giorno sì e un altro pure, mi chiedevano di quell’episodio. Non ho mai finto, venni colpito e andai in ospedale per la ferita. L’ho spiegato a tutti, poi se quelli del Milan si portano ancora quella rabbia dentro, non so che farci».
E questo Milan-Napoli? «Io credo nello scudetto del Napoli. Ho visto fare agli azzurri della partite stupende in questa stagione, sono certo che la differenza adesso la stanno facendo gli infortuni, i malanni di queste settimane. È un bel campionato questo. Credo che i tifosi si stiano divertendo».
Ibrahmovic è l’uomo che più di tutti va temuto? «Lo è. Anche se non credo che sia un fuoriclasse. È troppo definirlo così. È uno che può avere del colpi che fanno la differenza ma un fuoriclasse è qualcuno che lotta per altri, lascia il segno in un posto, combatte per un ideale».
Come Maradona. «Sì, come Diego. Lui è uno che oggi viene rimpianto in tutto il mondo anche per tutto quello che ha fatto fuori dal campo. Non solo a Napoli. Ha combattuto per i deboli ovunque e a Napoli ha difeso la città ogni volta che veniva offesa dal razzismo negli stadi, ogni volta che i diritti dei napoletani venivano colpiti. Ha lottato e noi con lui, anche se da stranieri non abbiamo mai veramente compreso perché c’era sempre tutta questa rabbia verso Napoli e i napoletani nel resto d’Italia. Ma è per questo che ora tutti lo piangono».
Lei ha da poco compiuto 60 anni. «Ed è stato un compleanno diverso, perché con il Covid ho vissuto giorni difficili, ho davvero creduto in alcuni momenti di non farcela a uscire dall’ospedale. Ora ho ancora problemi respiratori, soffro di renite, ma mi godo ogni giorno della mia vita in maniera differente rispetto a prima».
Il calcio è un ricordo? «Ho amato questo sport, ora amo i ragazzi a cui riesco a dare una mano nella Casa de Transformaçao Betania in cui da 24 anni mi occupo di chi vuole uscire dalla droga».
Il giorno del suo debutto italiano con la maglia del Napoli, il 21 agosto del 1988, l’avversario era lo Spezia in cui giocava un giovane difensore di Certaldo, Luciano Spalletti. «Era in Coppa Italia e vincemmo. Non ricordo nulla di quella partita. Ma ricordo la vigilia particolarmente emozionata per quel debutto: avevo lasciato Madrid perché mi esaltava l’avventura al fianco di Antonio (Careca, ndr) e Maradona. Erano loro i due geni: noi correvamo per loro e dovevamo dare i palloni a loro due e a Carnevale».
Chi vince domenica? «Ai miei tempi, vincevamo al San Paolo e perdevamo lì. Spero che non seguano le nostre orme».

P.Taormina (Il Mattino)

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