Erano legatissimi. Per questo nessuno si è meravigliato ieri nel vedere anche Bruno Giordano, inzuppato d’acqua, tra i suoi ex compagni di squadra al “Maradona”. Con gli occhi rossi di chi riesce a piangere anche dopo dodici mesi.
«È bello vedere tanta gente qui raccolta nel nome e nel ricordo di Diego. E’ bello vedere pure questi argentini che hanno attraversato l’oceano. Però è anche un giorno triste se ci penso, è trascorso un anno ma sembra ieri».
Forse per il modo con il quale è andato via.
«Esatto, non sono il primo e nemmeno l’ultimo a dirlo: il mio amico non meritava di finire la vita solo, quasi abbandonato».
Ricordi tanti, tantissimi. Legati all’amicizia, alla maniera in cui scambiavano la palla in campo. Nei due gol alla Roma e al Milan, nell’anno del primo scudetto, c’è tutta la sintonia tra Giordano e Maradona: pennellata di Bruno e capolavoro di Diego.
«Sì, in campo come nella vita, c’era grande affiatamento tra di noi. Purtroppo in momenti come questi veniamo travolti dai ricordi, che sono tanti e uno più bello dell’altro. Poi ti fermi e devi fare i conti con la realtà, che ti dice: guarda che Diego è scomparso».
Sembra che sia ancora vivo, è pazzesco il legame con questa città.
«Non solo con Napoli o con i napoletani ma con tutti quelli che lo hanno conosciuto».
E ovviamente frequentato.
«Certo, io ho avuto la fortuna di conoscerlo e la gioia di frequentarlo. Nella maniera più vera e genuina possibile. E vi assicuro che l’ho conosciuto nel modo giusto».
Ci sono amici e amici, insomma.
«Proprio così. Sento parlare tanta gente, guardo molte facce e a volte resto senza parole: chi lo ha conosciuto di qua, chi di là, chi dice di essere stato al suo fianco come pochi, chi addirittura non lo ha mai incontrato. No, non è così: Diego è del popolo perché è stato uno del popolo ma di amici veri ne aveva pochissimi».
Per questa ragione è morto quasi in solitudine?
«È sempre stato circondato da una marea di persone ma questo non significa essere amico di ognuno. I veri amici sono quelli che non ti mollano mai, soprattutto nei momenti disperati. Se oggi parli con dieci persone che erano con Diego, tutte e dieci ti dicono che avevano un rapporto privilegiato. Non è così. Non si tratta di fare una gara a chi è stato più amico dell’altro, semplicemente farsi un esame di coscienza e chiedersi cosa è stata per ciascuno di noi l’amicizia nei suoi confronti».
Cosa è stata l’amicizia per Bruno Giordano?
«Parlare di tutto e di più, guardarci sempre negli occhi, mettersi a disposizione l’uno dell’altro. Fuori dal campo più che dentro, perché in campo era impossibile non andare d’accordo. Diego mi manca, non immaginate quanto».
In una parola, oppure in un aggettivo?
«Un uomo straordinario e dal cuore immenso, generosissimo».
Però qualche volta avrete pure litigato.
«Se eri sincero con lui, non litigavi mai. Era impossibile non volergli bene».
Ieri, al termine della cerimonia di inaugurazione della statua dedicata a Maradona e posizionata all’esterno dello stadio che porta il suo nome, con l’aiuto di una scala Giordano è salito sul basamento e ha infilato la fascia di capitàno al braccio di Diego.
«Era un mio ricordo, un regalo che mi fece quando arrivai a Napoli. L’ho portata da casa per restituirgliela, è giusto che sia ancora lui a indossarla. Sarà sempre il nostro capitano».
Gli occhi tornano lucidi e rossi quando ricorda l’ultima telefonata.
«C’eravamo parlati con messaggi poco prima di quel maledetto 25 novembre. Con messaggi e non direttamente al telefono perché non ce lo passavano più. Forse l’ultima volta che l’ho sentito è stata nel giorno del suo compleanno».
Qual è il messaggio che ci ha lasciato?
«Ci ha trasmesso in eredità due messaggi. Il primo è che si può sempre vincere. Nella sua storia il Napoli ha avuto tantissimi campioni ma in sessant’anni non era mai arrivato a conquistare lo scudetto: lo aveva promesso a Beppe (Bruscolotti) e a tutti noi, ci credeva e ci ha fatto credere, ci ha trascinato in un sogno fantastico e ci ha aiutato a vincere».
E il secondo?
«Chiunque, partendo dal basso, dalla povertà più assoluta, ha le potenzialità per arrivare in cima. Lui ci è arrivato come calciatore e come uomo: trovatemi nel mondo una persona che sia stata più famosa di lui».
Pensi spesso a lui?«Ogni giorno della mia vita».
Ti manca?
«Di più. Ogni giorno provo una fitta qui, al cuore».
Angelo Rossi (Il Mattino)