Paolo Sorrentino: “La tragedia familiare, la passione per Maradona e Troisi”

Col nuovo film «È stata la mano di Dio», Paolo Sorrentino  è tornato a girare nella sua Napoli per raccontare in modo intimo e diretto gli anni dell’adolescenza partenopea e, in particolare, la tragedia che lo travolse quando aveva appena 16 anni, cioè la morte in un incidente nella casa di montagna di entrambi i genitori. All’epoca, il giovane Paolo si salvò soltanto perché aveva avuto il permesso di restare a Napoli in quel maledetto fine settimana, per seguire allo stadio l’amato Napoli e l’idolo Diego Armando Maradona.
A quasi tre mesi dalla proiezione in concorso a Venezia e pochi giorni prima dell’uscita in 250 cinema italiani, il 24 novembre con Lucky Red, mentre su Netflix (che lo produce assieme a The Apartment di Lorenzo Mieli) si vedrà dal 15 dicembre, Sorrentino sottolinea quanto il film gli stia servendo nella gestione di quel tragico evento del passato: «Da mesi, ne parlo quasi ogni giorno in giro per il mondo. E ciò sta contribuendo a rendere quasi noioso quel dolore che ho voluto raccontare. La cosa mi aiuta molto, forse perché annoiarsi è una bella scorciatoia per non occuparsi più dei propri dolori».
Sorrentino, era da vent’anni, dal lungometraggio d’esordio «L’uomo in più», che non girava a Napoli. Che città ha voluto raccontare stavolta? «Ho affrontato Napoli legandola ai luoghi nei quali sono cresciuto: casa mia al Vomero, la scuola, le scoperte di quegli anni. Una città legata all’onda dei miei ricordi, dunque, più che al presente. Proporre in anteprima il film proprio qui è una cosa che mi emoziona, quasi come se mi trovassi a vivere il giorno del mio matrimonio».
La sua storia di dolore e crescita, tra la passione per il calcio e Maradona, la scoperta del sesso e del cinema, la voglia di guardare al futuro per superare la tragedia familiare propone temi universali. Il film se ne potrà giovare nella corsa verso gli Oscar? E come vive questa nuova esperienza, dopo quella trionfale del 2014? «Rispetto alla prima volta, adesso sono più consapevole delle dinamiche. Per arrivare al traguardo, tutte le variabili devono andare al loro posto ed è una cosa sulla quale noi possiamo influire pochissimo, se non facendo il nostro lavoro al meglio. Comunque, il film arriva in modo forte anche al pubblico estero, così come i sentimenti che volevo mostrare. Anzi, mi capita spesso, dopo le varie proiezioni in giro per il mondo, di ascoltare spettatori che si ritrovano in quanto hanno appena visto e raccontano i loro lutti».
A proposito di stile, come mai ha deciso di asciugare e semplificare il suo modo di narrare con le immagini? «Lo richiedeva la storia. Ho capito che per provare a raccontare la verità dei sentimenti avrei dovuto dare maggiore libertà agli attori, semplificando i movimenti della cinepresa e rendendo lo stile narrativo più essenziale e diretto. Anche nella costruzione della colonna sonora, ho rinunciato a molta musica proprio per asciugare il più possibile il racconto. Infatti, al di là di episodi che magari ho ripreso da altri momenti della mia vita, i sentimenti narrati nel film sono assolutamente veri».
«È stata la mano di Dio» parla inevitabilmente anche del rapporto padri-figli, sia all’interno della famiglia Schisa che in relazione a una figura-chiave della sua vita come il regista Antonio Capuano, col quale lei esordì da sceneggiatore in «Polvere di Napoli». «Avendo io perso mio padre a 16 anni non ho potuto vivere con lui un momento tipico dell’adolescenza: quello del conflitto. E, da questo punto di vista, Capuano mi ha fatto comprendere proprio l’importanza, anche creativa, del conflitto. Lui con me è sempre stato brutalmente onesto e, d’altronde, nella vita ho sempre cercato persone autentiche che mi dicessero con chiarezza ciò che in me non andava. Dal punto di vista strettamente cinematografico, però, al di là della presenza di Capuano e di alcuni omaggi a Fellini, in questo film c’è un unico nume tutelare: Massimo Troisi. È a lui, infatti, che mi sono rifatto per raccontare i sentimenti in modo essenziale e diretto».
Il Mattino
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