L’uomo che ha vissuto tante vite – in Italia e in Spagna, in Cina e negli Emirati – e altre ancora ne attraverserà, mentre se ne sta con lo sguardo perduto negli occhi dei propri figli, in una Londra che incanta, può andare a leggere (anche) dentro al proprio Pallone d’Oro per provare ad intrufolarsi con elegante autorevolezza in questo mondo che gli appartiene. E’ stato un 2021 così bello che non si può rischiare di rovinarlo proprio adesso, sul finire, nella bruma di Belfast che un po’ ricorda certe notti del passato, e Fabio Cannavaro, che al San Paolo si giocò la qualificazione a un Mondiale, parte da lì, in questo viaggio immaginifico nelle emozioni. C’è un’Italia che vibra, in quest’ora e mezza densa di paura, ma c’è un universo, ed è il suo, che sta per srotolare altro, le grandi sfide scudetto, le incognite d’un campionato all’orizzonte dalle quali lasciarsi catturare. Sono trascorsi appena centoventisette giorni dal trionfo dell’Europeo e stavolta, ma va, ci ritroviamo su un crinale: e in quel pizzico di smarrimento, nella perfida senzazione di terrore, per non lasciarci sfuggire la bellezza perduta, Fabio Cannavaro scorge un solo segreto. «Restare se stessi».
Il 15 novembre del ’97, ma guarda un po’, fu una giornata come questa… Cannavaro, lei riuscì a dormire la sera che precedette Italia-Russia, spareggio per il Mondiale in Francia? «E chi se lo ricorda? Forse sì e forse anche no, perché quella, a differenza della sfida di stasera, era veramente l’ultima spiaggia. Ma immagino che per il Mancio e per i ragazzi la tensione possa essere eguale a quel tempo».
Segnò Casiraghi e andaste in Francia. «Io sento che ce la faremo, lo dice la nostra storia, anche quella più recente. Non possiamo permetterci di saltare un altro Mondiale, sarebbe una catastrofe. Ma sono sicuro che la sistemiamo in questo lunedì strano, nel quale pensavamo semplicemente di festeggiare la qualificazione».
Cosa è cambiato in quattro mesi? «Niente di speciale. Il calo è legittimo ed è fisiologico. Non c’è stato appagamento né leggerezza. Un po’ ci hanno frenato gli episodi e un po’ qualche problema che ha sottratto uomini. E’ chiaro che sarebbe stato preferibile chiuderla prima, ma visto che siamo costretti facciamolo adesso: giocando come sappiamo, palleggio e fantasia, tutto quello che Mancini e i suoi ragazzi ci hanno regalato non soltanto nella fase finale dell’Europeo ma in questi anni della sua gestione».
E se capita un rigore…? «Ci vada chi si sente in grado di tirarlo, anche Jorginho, che non può essere brutalizzato per averlo sbagliato. Ho visto, nella mia carriera, gente di spessore girare la testa, mentre il pallone stava sul dischetto. E a scegliere sono i calciatori, non l’allenatore. Bisogna avere calma nel leggere le sensazioni del proprio corpo».
E ignorare Svizzera-Bulgaria. «Si fa la nostra partita, per vincerla, senza ansia, con quella autorevolezza che ha rappresentato il marchio di fabbrica. Sfortuna ne abbiamo avuta e avendo già dato ci auguriamo sia finita qua. Io ho solo paura perché siamo a novembre, in genere un periodaccio per noi, perché ci portiamo appresso le scorie delle prime fatiche. Ma sono anche ottimista perché c’è così tanta qualità».
Talmente tanta che sembra si cambi qualcosa. «Leggo da giornali di Tonali e di Scamacca, venerdì ho visto a Roma che Mancini ha inserito Cristante, poi Raspadori e Calabria. Intanto, ha dovuto rinunciare a qualche altro elemento, ma le soluzioni sa sempre come trovarle, come inventarsele. Lui conosce il calcio in ogni sua declinazione, è consapevole che le difficoltà talvolta non hanno una ragione, arrivano e basta, non sai da dove. Le grandi squadre di club e pure le Nazionali, dopo un successo strepitoso, hanno dovuto fronteggiare un periodo di appannamento, pur non essendo sazi».
Certo, la Svizzera un pizzico di tensione dovrà pur provarla? «Meno di noi, ahimé. Loro giocano in casa e noi in trasferta, loro si regalerebbero un capolavoro o qualcosa che sembra possa somigliare ad un miracolo e noi siamo quasi obbligati per statuto, diciamo così, ad arrivare in Qatar. Ma se l’Italia fa l’Italia, ci togliamo questo peso dallo stomaco e prepariamo il viaggio per l’anno prossimo al Mondiale».
Si entra in una settimana vibrante: sabato il Milan a Firenze, domenica l’Inter aspetterà il Napoli.
«Il Milan è la squadra che mi sta piacendo di più, gioca bene e lo fa con una naturalezza che impressiona. È dentro un Progetto a cui sta dando continuità di risultati, sanno dove vogliono arrivare e hanno scelto di farlo rubando l’occhio. Alla ripresa va a Firenze, contro un’avversaria che ha una propria identità e ti toglie il fiato. Però è una delle tre che si giocherà lo scudetto, anche se c’è sempre una quarta della quale bisognerà diffidare».
Le altre due, per cominciare, si sfidano a San Siro. «Premesso che è ancora presto, che i campionati si decidono a marzo, che poi verrà la Coppa d’Africa e tutto il bla-bla-bla che conosciamo, Inter-Napoli può incidere in maniera anche definitiva o almeno indirizzare la stagione. Inzaghi deve vincerla, almeno non perderla, per non ritrovarsi troppo distante; e Spalletti vorrà invece una risposta chiara in uno scontro diretto: è consapevole che gare del genere valgano più delle altre per l’autostima del gruppo. E fanno la differenza non solo aritmeticamente. Il Napoli ha tanto del suo allenatore, che sa essere contemporaneamente leader e aziendalista, toccando sempre le corde giuste».
La quarta “misteriosa” indiziata ha le fattezze di una Vecchia Signora. «La Juventus non è mai fuori. Ha la vittoria nel suo Dna. Stanno sul pezzo, magari soffrono ma non mollano mai, stanno sul pezzo e Allegri poi si trasforma in garanzia».
Mourinho in affanno. Chi l’avrebbe detto? «Totti l’ha spiegato: se mettiamo in discussione anche uno degli allenatori più vincenti del calcio, allora dobbiamo interrogarci. E’ chiaro da subito che la sua missione è proiettata nel tempo, gli è stato chiesto di costruire: ci sta che quando si avvia un’epoca del tutto nuova, ci si debba confrontare con qualche pausa».
Le piace Sarri, da sempre. «Ho visto il derby, poi ho rivisto altre gare in tv ed ho cominciato a notare che, un po’ alla volta, c’è la sua mano in quella squadra che ha così tanto talento. Ce ne sono alcuni che mi piacciono un sacco, sui quali è possibile intervenire, provando a plasmarli come sta facendo lui».
E Cannavaro quando ripartirà dalla panchina? «Ho avuto qualche offerta dall’America ma ho dovuto rinunciare. Preferisco aspettare eventualmente una possibilità europea. Non ho fretta, non sono impaziente, e però di voglia ne ho tanta e oziare alla lunga rischia di stancarmi».
Valentino Rossi all’ultima curva, Federica Pellegrini all’ultima vasca: quando si sgonfiò il pallone di Fabio Cannavaro, quale fu la reazione? «L’ultima in Nazionale avvenne in Sudafrica e mi segnò, perché finì in quel modo. All’inizio, sono sensazioni che ti straniscono, potrei dire ti stordiscono, ma poi scopri che esiste una vita diversa, anzi normale, e la apprezzi un sacco».
Cannavaro, ma il pallone d’oro lei a chi lo darebbe? «Messi ne ha già talmente tanti che può farne a meno, anch e se ha vinto la Coppa America con l’Argentina. E Jorginho mi capirà se dico Lewandowski: l’avrebbe meritato un anno fa, quando non fu assegnato. Fece cose straordinarie in quei mesi duri e difficili. Ma comunque e persino a prescindere da ogni altro discorso, chi ama il calcio non può che amare Lewandowski».
Fonte: Antonio Giordano (CdS)