Questa è l’Italia di Lorenzo. Oggi il copione è il suo. È la rivincita di un giocatore unico. Non perché il più bravo, ma perché capace di dettare un’identità. Se l’adotti, come ha fatto Mancini, non puoi scrollartela di dosso senza subire una crisi esistenziale. Questa è l’Italia della creatività che un allenatore unico e un giocatore unico vogliono portare al comando del mondo. Non sarà una passeggiata. Poiché la posta in palio è così alta da relativizzare il divario qualitativo. Lorenzo condivide questo destino con Verratti, Jorginho e Immobile, che pure guarderà Italia-Svizzera della tv. È una generazione di atleti che può aprire un ciclo simile a quello della Spagna nel 2008, o piuttosto uscire dalla scena che conta. Per un calciatore trentenne come il fantasista azzurro, mai riconosciuto pienamente per quello che lui sente e sa di valere, il treno non passerà un’altra volta. In una sera Lorenzo può prendere o rischiare di lasciare tutto. Accade nella primavera novembrina, accade nel calore di uno stadio dove l’Italia accende passioni senza campanili, accade tra gli scontri verbali che circondano l’infortunio di Immobile.
Ma, per fortuna, delle polemiche che agitano la viglia di Italia-Svizzera non c’è traccia nel guscio ovattato di un gruppo guidato da un pastore di anime, che sa. Mancini è lo scudo di tutte le ambiguità e i veleni che minacciano il giocattolo. Ci stringiamo a lui con piena fiducia. Il resto stasera non conta.
Tratto dal Cds, A. Barbano