Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Spal…late del destino”

L’ impresa partì da molto lontano, e durò un viaggio lungo dieci mesi. Da agosto del ’61 a giugno del’ 62. Da una amara retrocessione, ad un titolo che fece impazzire la città. La coppa Italia. Quella della leggenda, quella che il Napoli conquistò militando in serie B. Un’impresa mai più riuscita a nessuno. Un’ impresa che, senza quel pomeriggio di ottobre, un pomeriggio di autunno in un San Paolo con larghi vuoti, non sarebbe mai stata ricordata. Era il secondo turno, il Napoli era stato sorteggiato contro una squadra di categoria superiore, la Sampdoria. Forte di Brighenti e Boskov, allenata dal vate Monzeglio, la squadra blucerchiata sembrava essere nettamente favorita, contro un Napoli ancora frastornato dalla retrocessione arrivata da poco. Ad agosto la squadra di Pesaola aveva eliminato l’Alessandria. A nulla era valso il gol di Gilardoni, potente ala sinistra arrivata dal Lecco, perché i grigi piemontesi avevano risposto con una marcatura di Cappellaro. E si era andati ai calci di rigore. Dove il Napoli era riuscito a spuntarla. Sul campo, contro la Samp, tra sbadigli e noia profonda, il risultato si trascinò fino al novantesimo su uno zero a zero moscio moscio. Nemmeno un tiro nel carnet blucerchiato, nemmeno uno in quello azzurro. Le cronache ricordano un Napoli abbottonato ed una Sampdoria annoiata. Si andò ai supplementari, ma non cambiò il risultato. Per decidere chi dovesse accedere al terzo turno, ci vollero nuovamente i calci di rigore. I tiri dal dischetto, erano da poco stati inseriti nel regolamento. Cinque tiri a testa, affidati non in una alternanza, ma ad un solo giocatore per squadra. Ciascuno tirava cinque volte in fila. Per i genovesi venne designato Vincenzi. Per il Napoli, Giovanni Corelli. L’ uomo di Ferrara, venuto dalla Spal, con la quale, due anni prima aveva ottenuto un clamoroso quarto posto. Corelli è un tiratore formidabile. Possiede il fulmicotone nei piedi. Avete presente i tiratori moderni, quelli del “cucchiaio”, oppure quelli che fino all’ ultimo (pochi) guardano il portiere fino alla fine della loro rincorsa, piazzando la sfera nell’angolo opposto rispetto a quello battezzato dall’estremo avversario all’ultimo istante? Dimenticateli. Corelli aveva un obice nel suo piede. Metteva la palla sul dischetto, e tirava. Un bolide. Quando il centrocampista azzurro si recò a tirare, Vincenzi aveva realizzato tutti e cinque i suoi tiri dal dischetto. Corelli fu glaciale Realizzò tutti i suoi rigori, alternando gli angoli. Basso, alto, centrale, sinistra, destra.

1962 Coppa Italia Final – AC Napoli v SPAL – Gianni Corelli’s goal

Una precisione feroce. Si andò dunque ad una nuova serie di cinque tiri, con la variante che, al primo errore, la serie veniva interrotta, consentendo all’altro di tirare. Vincenzi tirò fuori, subito, mentre Corelli fece di nuovo centro. Si dice che, il suo tiro decisivo, fosse scoccato alla luce delle torce accese sugli spalti dai tifosi per illuminare il terreno di gioco, reso oscuro dalle ombre della sera. Il Napoli, poi, battè il Torino, 2 a 0, la Roma all’ Olimpico 1 a 0, ed in semifinale il Mantova 2 a 1. Poi, ancora a Roma, sconfisse proprio la Spal, per due a uno. Il gol decisivo lo segnò ancora lui, Giovanni Corelli, e proprio alla “sua” Spal. Quando si fa il suo nome, gli occhi dei tifosi partenopei più anziani si illuminano. Come quella sera, si illuminò il San Paolo, alla luce di cento piccole torce, nel crepuscolo di un ricordo.

Stefano Iaconis

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