Bianchi, quale la differenza da allora? «Il Napoli in quegli anni così profondamente distanti da questi, sembrava dovesse mostrare chissà cosa al resto dell’Italia, come se ci fosse un senso di inferiorità nei confronti di quegli squadroni, di quelle organizzazioni: doveva dimostrare che si può esistere, vincere e convincere con il lavoro intenso in una città che veniva vista sempre piena di problemi. E ci riuscimmo. Ora non è così, non mi pare di avvertire più che ci sia questo disagio della città. E di sicuro non c’è nel club che come risultati, gestione dei conti, non ha nulla da invidiare a nessuno, in Italia. Quando arrivai io nel 1985 non era così».
In cosa sono cresciuti gli azzurri? «Spalletti ha consegnato una dote: il senso del risultato. Che è tipico delle squadre che hanno fatto epoca. Quando giochi bene e dai spettacolo, tutto è facile, ma è quando ci sono momenti di difficoltà che si vede l’impalcatura del gruppo. Saper gestire gli attimi di affanni, sono quelli che fanno fare il grande salto».
La rivale è il Milan? «La Juventus è fuori dai giochi, l’Atalanta in tanti hanno compreso come limitarla, l’Inter è parecchio distante. Vedo il Napoli meglio assortito, con i ricambi giusti e il tecnico che sa gestire meglio certi momenti. E poi è un ottimo comunicatore. Io non è che non volevo esserlo, ma proprio non ne avevo le capacità».
L’arma in più di Spalletti? «Ci mette del suo senza stravolgere. E ha trovato il suo Ciccio Romano in Anguissa».
Ora il derby con la Salernitana «Potrebbe anche non giocarsi per manifesta inferiorità tecnica e tattica. Ma qui entra in gioco il modo con cui interpreti la partita: perché quelli della Salernitana sanno di doversi aggrappare ad altro per cercare di vincere. Come capitava a me quando con l’Avellino affrontai il Napoli. E al Partenio ho vinto».
Insigne poteva far tirare il rigore a Osimhen? «No. Ha fatto bene, le gerarchie le detta il tecnico. Sennò succede come quando Cané, Altafini e Sivori si contendevano le punizioni. Uno piazzava il pallone a terra e un altro tirava… Pesaola usciva matto e alla fine facemmo zero gol da calcio da fermo».
P. Taormina (Il Mattino)