R. Ulivieri: «Tra i tecnici e gli arbitri non ci può essere collaborazione in partita. Farli parlare: perché?»  

Il presidente degli Associazione allenatori analizza le espulsioni dei tecnici

Renzo Ulivieri, a suo tempo “campione del mondo di espulsioni”, una domenica “rossa” per gli allenatori come questa come la spiega? «Prese una a una non avrebbero fatto notizia. In questo caso capisco il valore giornalistico dell’evento» 

Beh, non vorrà buttarla sul vizio dell’enfasi mediatica  «No, c’è di che discutere. Partendo, secondo me, però da alcuni commenti che non mi sono garbati»

Tipo? «La questione della collaborazione arbitro-allenatore, che sarebbe venuta meno in queste circostanze. Io dico che quella ci deve essere quando si fanno le riunioni congiunte per affrontare questioni specifiche. La domenica, in senso generico, invece, non ci può essere. Uno deve pensare ad arbitrare bene, gli allenatori a fare meno errori possibili, come ama dire Allegri».

Dunque, per lei, in quei 90 minuti, arbitro-allenatori non possono darsi un aiuto reciproco «Non la metterei così. Penso per esempio che un allenatore abbia anche il diritto di infuriarsi sapendo però che non ha il diritto di manifestarlo, soprattutto in modo scomposto. Questo dicono le regole. Che debbono essere interpretate».

L’irrisolvibile nodo dell’uniformità di giudizio davanti a episodi simili  «E come farne a meno? Per esempio: “allenatore espulso per aver calciato una bottiglietta”. Già: ma l’ha colpita d’interno, di collo, di esterno…. Perché emotivamente c’è differenza» 

Ironia brillante ma rischiosa  «La verità è che ci può essere l’incazzatura, la protesta oppure la stizza, l’alzare le braccia, scuotere la testa, in segno di dissenso. E tra le due cose c’è un mondo. Io penso che la stizza possa anche far parte dello spettacolo»

A occhio Gasperini, Mourinho, Spalletti e Inzaghi potrebbero, come dice lei, dissentire  «Possibile. Ma si tratta di situazioni diverse. Ho visto Roma-Napoli. La prima ammonizione di Mourinho mi è parsa “alla Ulivieri”, nel senso che potrebbe aver voluto attirare su di sé l’attenzione dell’arbitro per evitare un giallo a un suo giocatore, dopo un fallo. Mentre il rosso a Spalletti mi è sembrato semplicemente sbagliato»

Ma a bordo campo, nell’epoca del rettangolo dedicato all’allenatore, come sono cambiate le cose? «A me sembra che il comportamento dei tecnici sia migliorato. In questo senso la “gabbia” serve. Certo, gestire le tensioni è sempre più difficile. Io ricordo che mi ero dato un modello: Liedholm, la classe e l’aplomb fatte persona, anche in panchina. E infatti non sono mai stato espulso, nei primi 5 minuti…quando ancora riuscivo a ripetermi: “Devo fare come Nils, devo fare come Nils…». Poi tornavo io. Con le mie reazioni, spesso sbagliate. Detto questo, succede che sbagliano anche gli arbitri» 

Che momento è questo per la categoria arbitrale? «Guardi, io sono un appassionato di arbitraggio. E vi dico che è un buon momento. Sul serio. Perché il loro impegno è quello di contribuire ad aumentare la qualità dello spettacolo. Come? Fischiando di meno, accettando il rischio del gioco in velocità. Se non voglio farlo, ho un modo classico e semplice: rallentare le partite, spezzettandole. Questo devono capirlo anche gli allenatori. Però la collaborazione no, quella mi fa perdere solo tempo» 

In questo senso allora il Var non si sposa con lo scorrere ideale dello spettacolo  «Ma corregge tanti errori. E quelli commessi dal Var rappresentano una percentuale bassissima. A patto di non cascare nello sbaglio di frammentare l’azione, con “lo tocca-non lo tocca”. Anche il video-arbitro deve restare un arbitro, nel cuore del gioco e del suo sviluppo»

Ma non sarebbe tutto più chiaro se non più semplice se anche gli arbitri parlassero a fine match? «E cosa dovrebbero dire? La spiegazione è nelle loro azioni. A me pare fuori logica ma per carità, si può anche fare»

Solo collaborare in partita non si può «Glielo ripeto, con Sciascia: a ciascuno il suo». 

 

Fonte: A. Santoni (CdS)

 

 

 

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