La voce di Enrico Ameri irrompe disperdendo il clamore dei ventimila assiepati nella curva San Luca. “Sotomayor!”. Ripetuto due volte. Annunciando il pareggio del Verona. Il Napoli sta maramaldeggiando sul campo del Bologna, passando come un vento primaverile su un Dall’Ara invaso dai vessilli azzurri. “Sotomayor!”. Ed il Milan di Sacchi un punto indietro, ora. Ad una giornata ed una manciata di minuti dalla fine del torneo. Ondeggiamo, in quella curva, le torri di fronte a noi paiono anch’esse ondeggiare al ritmo di una esaltazione folle. Tutto intorno decine di radioline, rimbalzano la notizia del pareggio di un Verona sull’orlo del baratro, che gioca la partita della vita, contro il Milan di Van Basten e Gullit. Un uomo vicino a me, scarmigliato, gli occhi arrossati dalla commozione, solleva l’antenna della piccola radio a transistor, facendola svettare sopra la sua spalla destra ingobbita dalla posizione. Siamo come inscatolati. Ventimila in un settore che ne potrebbe contenere appena la metà. I giocatori azzurri tendono le orecchie al boato. Pugni serrati, le corse verso le panchine a domandare. Si, ha pareggiato Sotomayor. Un altro boato, nel boato. Ha raddoppiato il Verona? Domandiamo intorno con lo sguardo. L’uomo con la radiolina, rotea gli occhi, fa un cenno con la mano, aspettate. Poi scuote il capo, annuisce, si si. In un nulla come granelli di sabbia sollevati dal turbine, mille, diecimila, ventimila voci. Un solo urlo. Sul campo, i giocatori del Napoli esultano. E poi ancora, un altro strillo. Che rimbalza sulle torri, si insinua sotto i porticati di Bologna. Sono tre? Faccio con la mano. L’uomo impazzito, ancora muove la testa, su e giù su e giù. Incredibile. L’onda azzurra con le creste spumose di vessilli al cielo. Ed improvvisa arriva nitida la voce di Ameri, ancora, che irrompe nel giubilo. “Verona in vantaggio, Verona in vantaggio!” Il tifoso della radiolina con un movimento rapido, da lanciatore del peso, getta via, verso il campo, la radio dall’antenna protesa. Quella compie un arco nell’aria, fa due, tre capriole, poi si tuffa a capofitto sulla pista che circonda il prato. Il tifoso grida, sollevando nell’abbraccio chiunque gli capiti a tiro. “Goool gool”. Strilla come se avesse un demone cornuto che gli arpiona la schiena con il forcone e lo obbliga ad un balletto smanioso. Quel diavolo, è il Milan che sta adesso perdendo per due a uno a Verona. Ed è il novantesimo. La curva San Luca è un oceano azzurro in tempesta. L’ uomo abbraccia anche me, che cerco di capire. Saprò poi che sono stati espulsi Rijkard, Van Basten, e poi Costacurta e perfino Sacchi. Che il Milan in otto ha cercato il gol che gli permettesse di riagganciare il Napoli per portarlo allo spareggio nell’ ultima, decisiva giornata. Verona gli è stata fatale ancora. Diciassette anni dopo. Le grida di giubilo erano per le espulsioni. Noi avevamo creduto ciascuna fosse per un gol del Verona. Su quella curva i veneti vincevano, nella nostra fantasia per quattro a uno. Mentre realizzo questo, sento sollevarsi una cantilena da brividio, che parte dalla San Luca e, sospinta dalla brezza di primavera inforca l’autostrada per Napoli. “Campioni, campioni!” Recita la cantilena. Sono le 16 46 del 10 Aprile 1990. Mancano sette giorni al secondo scudetto.
Stefano Iaconis