Spalletti in:
Eppure se ne sono andati quattro anni: e dopo 1464 giorni, può succedere ancora di mettere in fila otto vittorie di seguito, per starsene dolcemente accomodati tra le stelle. Quarantotto mesi sono tanti o anche pochi, dipende ovviamente dai punti di vista, però se in questo periodo c’è rimasto poco, piccole gioie marginali, allora diventano un’eternità o almeno tale sembra. Napoli-Torino, a modo suo, pare un ponte tibetano sul quale lasciarsi andare e restare sospesi dentro a un sogno.
Da questo ciclo, il terzo, si potranno definire le ambizioni del Napoli di Spalletti. «Dopo la sconfitta con lo Spartak, si parlò di Firenze come test per capire le capacità reattive della squadra; poi è venuta fuori la storiella del contratto di Insigne; ora si attende la gara con il Torino per avere ulteriori risposte. Io che sono stato dipinto come un uomo che vede fantasmi ovunque, mi rivolgo a voi e dico: non facciamo gli spaventatori di professione».
100 giorni fa, nel giorno dell’insediamento ufficiale, si sbilanciò: «Questa città ha avuto protagonisti nel calcio che hanno segnato un’epoca. E noi vorremmo essere ricordati dai tifosi nel tempo».
Oggi ha percezione se c’è possibilità di riscrivere la storia? «C’è molta strada da fare ma noi vogliamo coltivare le ambizioni di Napoli, che guarda sempre avanti. Ci piacerebbe essere al livello della città. Difficoltà ne incontreremo, la Coppa d’Africa mi sembra che venga ritenuta tale da tutti; e poi, uno dei più grandi dirigenti, Marotta, ha ribadito un mio concetto: la sua Inter, allo stato attuale, si preoccupa di club che hanno tradizione e mentalità vincente superiore alla nostra».
Ha recuperato un po’ di gente e sotto quest’aspetto adesso per voi viene il bello… «E per questo periodo con tante partite così ravvicinate va benissimo: c’è Mertens, c’è Lobotka, c’è Demme, che io chiamo semplicemente con il suo nome, Diego, perché mi garba citare sempre Diego».
Il suo turnover ha allargato l’organico.
«I titolari sono diventati sedici: per il momento ci sono quelli per i 60′, poi quelli per i 30′ ma tutti hanno la stessa importanza».
Juric sulla panchina del Torino riapre, per alcuni e non si sa perché, la ferita della Champions svanita. «Ho già detto che bisogna farla finita con i riferimenti a quella gara. Juric ha fatto il suo lavoro e lo ha fatto bene. Pure io non ho mai reso la vita facile a nessuno. Noi dobbiamo farci trovare pronti per affrontare una squadra difficile, vogliamo rimanere in testa».
In venticinquemila, forse di più, a sostenervi. «Giochiamo al Diego Armando Maradona, l’uomo che ha contaminato tutti. Vogliamo che lui sia sempre con noi e ci accompagni. E che i tifosi del Napoli ci contagino del loro amore fino a farci essere più forti».
Meret o Ospina? «Dire che Meret giochi perché Ospina è arrivato all’ultimo momento non è carino. Anche prima che si scendesse in campo con la Juventus, David è tornato proprio in prossimità della partita. Ora il problema non c’è e il discorso resta lo stesso di un mese fa, anche perché il viaggio non ha condizionato il calciatore, che è stato tra i migliori, ha preso dei 10 in pagella ed è in grande condizione».
Le Nazionali restano un «caso» aperto.
«E le istituzioni devono dare un segnale, servirebbe uniformità. Ora mi sembra un po’ troppo quello che sta accadendo. Il carico è eccessivo».
Il razzismo è un problema sociale, serio. «Ma adesso è facile individuare i responsabili e denunciarli: basta prendere uno smartphone e fotografare chi si rende protagonista di episodi del genere. Così li buttiamo fuori dagli stadi. Noi con queste persone non vogliamo averci a che fare, vogliamo essere tutti altissimi, nerissimi e bellissimi come Koulibaly».
Fonte: A. Giordano (Cds)