Nelle pareti della memoria, dove ci sono decine o forse centinaia e, chissà?, magari saranno migliaia diapositive dell’«altra» vita, Victor Osimhen ci va a guardare spesso per capire com’è cambiata questa sua esistenza e quanto vada vissuta quell’attuale, senza mai perdere di vista se stesso, semmai ricordandoselo.
«Nel posto dove sono cresciuto, niente è promesso perché qualsiasi cosa tu voglia ottenere devi lavorare duro per riuscire ad averla. Ricordo di aver pulito per 20 naira le grondaie per il mio padrone di casa; e per i miei vicini, facevo lavori di pulizia o portavo loro l’acqua, in cambio di 80 naira. E trovavo piacere nel fare queste cose». Prima di «adagiarsi» al centro di Lagos per smistare bottigliette d’acqua agli automobilisti in quel traffico impazzito almeno quanto le sue giornate, Victor Osimhen ha evitato di mettersi le mani in tasca per non piangere e si è speso tutto se stesso – fisicamente – per avere la speranza che quel tempo, quella miseria (una Naira equivale a 0,0022 euro…) prima o poi svanissero e la sua dimensione cambiasse, offrendogli un orizzonte nuovo. «E ora mi impegno sempre più duramente: è importante per me il modo che utilizzo per ottenere questi soldi. Ma io sono consapevole di come li spendo e aiuto la mia famiglia».
I SACRIFICI
Quando Victor Osimhen parte da casa, ed è «appena» ieri, l’estate del 2017, ciò che avverte è il richiamo di una adolescenza faticosa, della quale, in un’intervista su un canale YouTube di proprietà del suo compagno di squadra William Troost-Ekong, non c’è lamento: «Mentre crescevo, mio fratello vendeva giornali, mia sorella vendeva arance e io ero nel traffico a inseguire macchine per vendere acqua e guadagnare. Le difficoltà mi hanno aiutato nella vita, mi hanno plasmato ed hanno fatto di me l’uomo che sono oggi. Per questo, sono davvero grato a Dio».
I SOGNI
Eppure in quel racconto limpidamente sereno, in cui non si ritrovano espressioni dolenti, è racchiusa una epoca così terribilmente vicina che sta sfilando via e che rappresenta l’architrave di questa sua favola, costruita da solo, sacrificandosi senza lasciarsi sopraffare da quella cappa di sofferenza lasciata ai margini della propria strada. Da Lagos a Wolfsburg, da Charleroi a Lille e poi a Napoli, Osimhen ha corso per sé, per i suoi, per avvertire dentro un senso di leggerezza e un’energia che lo sorregge e lo trascina: «Adesso è tutto molto bello. È iniziato come un sogno, un sogno d’infanzia. Volevo diventare un giocatore professionista, ispirato da molte grandi leggende, come Didier Drogba, Mikel Obi ed Odion Ighalo. E adesso sento che essere in grado di raggiungere quest’impresa è uno dei miei più grandi successi». Non più ostaggio di un destino balordo, persino feroce, ma padrone del proprio tempo, d’un film scritto da se stesso con gli occhi che guardano lontano ma ogni tanto lanciano uno sguardo alle spalle.
Fonte: A. Giordano (CdS)
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