Scontro al plenum del Csm sulla non riconferma di Vincenzo D’Onofrio nel ruolo di procuratore aggiunto alla procura di Avellino. Il voto è inequivocabile, ma la lettura dell’intero procedimento ha generato un’aspra dialettica nel corso della seduta del plenum. Con 18 voti a favore, 2 contrari e 3 astensioni il Csm ha deciso di non confermarlo nell’incarico.
Due inchieste penali a suo carico conclusesi con un’archiviazione e un procedimento disciplinare non ancora del tutto svolto non sono stati sufficienti a capovolgere al plenum il parere che era già arrivato dalla quinta commissione. Pesano come un macigno quei biglietti ricevuti da un imprenditore per assistere alla partita Juve-Napoli per sè e la propria scorta con relativo pernottamento a Torino. E pesa la frase (a suo dire scherzosa) «ti potrei far mandare la finanza» rivolta al titolare di un cantiere navale, dove avrebbe usato una piccola imbarcazione e un gommone senza pagare nulla.
Sono alcune delle vicende contestate dal Csm al procuratore aggiunto di Avellino, incarico che ricopriva dal 2015, Vincenzo D’Onofrio che da oggi torna a fare il sostituto procuratore. Il plenum ha deciso di non confermarlo nell’incarico, ritenendo che con queste condotte – al centro di un procedimento penale concluso con l’archiviazione e di accertamenti disciplinari che si dovrebbero definire a breve – si sia «incrinato il requisito dell’indipendenza», come ha sintetizzato il relatore del fascicolo, il laico del M5s Filippo Donati.
LA DISCUSSIONE
Si è trattato di gentilezze ricambiate con alcuni doni, da inquadrare in un rapporto di amicizia, aveva sostenuto invece la difesa di D’Onofrio, anche in due memorie inviate al Csm con la richiesta di fermare la decisione per procedere prima ad approfondimenti istruttori. «Neppure un rapporto amicale può giustificare che un magistrato accetti biglietti per andare allo stadio o di utilizzare un gommone senza pagare il corrispettivo», la replica di Donati, che ha definito non rilevante anche la presa di posizione del procuratore di Avellino Domenico Airoma e del suo predecessore Rosario Cantelmo, concordi nell’escludere «alcun appannamento dell’autorevolezza istituzionale» del collega. Per il consigliere laico Stefano Cavanna di area Lega la non conferma nel caso di D’Onofrio «è un atto dovuto, in quanto le condotte emerse evidenziano il rischio di appannare l’immagine del magistrato e la percezione esterna di autonomia e indipendenza da parte dei cittadini».
Ma la vicenda rimane pendente. Innanzitutto perchè sarà il ministero della Giustizia a cui il Cms passa ora la palla a dover decidere il destino del magistrato che, tuttavia, non potrà per quattro anni concorrere nuovamente all’incarico di aggiunto. Colpi di scena potrebbero venire dal ricorso al Tar del Lazio a cui il magistrato ha il diritto di ricorrere, infine vi è un procedimento disciplinare ancora pendente le cui conclusioni il Csm, nel corso del plenum di ieri, evidentemente non ha ritenuto di attenderne gli esiti.
Si sarebbe dovuto attendere l’esito disciplinare anche per «garantire parità di trattamento rispetto ad altri casi ben più eclatanti» ha sostenuto il togato di Unicost Michele Ciambellini, secondo cui il relatore, basandosi sul provvedimento di archiviazione del gip «fatto male perchè privo di un valutazione autonoma rispetto a quella del pm», ha ritenuto «acclarati» fatti rispetto ai quali «D’Onofrio ha offerto una contestualizzazione molto diversa». A cura di Gianni Colucci (Il Mattino)