L’editoriale di A. Barbano analizza il momento del campionato attraverso la leadership di Napoli e Milan, capaci di rialzarsi. Autorevolmente.
Un campionato nel campionato già si disegna dopo sette turni e spacca la classifica in due. La differenza la faranno gli scontri diretti. Dopo aver fatto suo quello con la Juve, il Napoli ieri ne ha messo un altro nel sacco. La vittoria a Firenze non è una prova di superiorità, ma di furbizia e di saggezza. Perché la partita la fa la Fiorentina, con un primato nel possesso palla che racconta il dominio del centrocampo e la capacità di spostare il baricentro del gioco nella tre quarti avversaria. Il Napoli fa fatica a uscire dall’assedio, perché subisce sulle fasce il pressing viola, ma stavolta il muro difensivo di Spalletti non ha crepe. La coppia Koulibaly-Rrhamani neutralizza la potenza di Vlahovic, Di Lorenzo soffre Gonzalez ma lo contiene, a sinistra Mario Rui controlla un impreciso Callejon.
È Zielinski, un fantasma rispetto a quello dei giorni migliori, a regalare ai viola l’occasione per portarsi in vantaggio con Martinez Quarta, lasciato senza copertura dal polacco su un calcio d’angolo. Ma se si eccettua questo errore, il Napoli non sbaglia niente. La Fiorentina invece pecca di presunzione e di distrazione. Prima perché s’illude di poter fermare le fughe di Osimhen senza raddoppiare la marcatura. Dopo quanto visto ieri, nessuna rivale del Napoli commetterà più la stessa leggerezza: sull’azione del rigore azzurro, l’attaccante nigeriano dimostra come può in uno scatto di venti metri ribaltare qualunque distacco tra lui e la difesa, riuscendo sempre a sgusciare all’interno e a puntare la porta. Ma il capolavoro d’ingenuità i viola lo commettono sul secondo gol azzurro quando, su una punizione tagliata a rientrare nel cuore dell’area, restano tutti in linea tranne uno, Pulgar, tenendo così in gioco Rrhamani a due passi da Dragowski.
Poi c’è il nigeriano. Che merita un discorso a parte, perché nelle prime sette giornate è il miglior giocatore del campionato. Non solo per i gol e le occasioni che si procura, ma perché interpreta il ruolo del centravanti in chiave globale: allunga la squadra e le consente di uscire dall’assedio, fa suoi quasi tutti i palloni lanciati di rimessa dal portiere e dalla difesa, ed è decisivo anche da difensore aggiunto sugli otto calci d’angolo della Fiorentina. Se riuscirà a mantenersi in questa primavera psicofisica per buona parte del campionato, non ce ne sarà per nessuno.
Quanto al Milan, i due punti che lo dividono dalla vetta li ha persi pareggiando contro la Juve. Ma ha già battuto Atalanta e Lazio negli scontri diretti. A Bergamo ha dimostrato quanto sia cresciuto e quale illuminazione possano garantire la regia arretrata di Tonali e quella avanzata di Brahim Diaz, uno scarto del Real Madrid che vale oro. Viene da chiedersi se davvero il recupero di Ibrahimovic e di Giroud sia un evento desiderabile o piuttosto un ingombrante accidente. I ragazzi di Pioli di una sola cosa sembrano aver bisogno: giocare più che si può, perché ogni minuto giocato è un granello di esperienza che può fare del loro talento un’arma letale.
Barbano (CdS)