L. Spalletti: «Le due tifoserie sono simili, con il fuoco dentro. Vi voglio cinici»  

Il tecnico del Napoli presenta la sfida contro la Fiorentina

Essere o non essere: e senza volersi travestire da Amleto, questo, nient’altro, Spalletti vuole capire in una serata che può sapere (quasi) di tutto oppure di niente. C’è stato un mese, fantastico, che gli è servito per scoprire il Napoli, per annusarlo e anzi conquistarlo: poi, proprio mentre settembre se ne stava andando, giovedì notte, all’improvviso è sembrata dissolversi un’idea, scheggiata da un cartellino rosso, dall’inferiorità numerica, da una serie di interrogativi che aspettano ora risposte. Mentre Firenze s’avvicina e Spalletti le va incontro con frasi che andrebbero mandate a memoria per chi entrerà nel «Franchi» («Fiorentini e Napoletani possono insultarsi quanto gli pare ma devono sapere, lo vogliono o no, che loro sono gemellati dalla passione, dal fuoco dentro. Non dipende da nessuno, è il loro destino…e indirizzare questa passione verso un nemico immaginario è uno spreco assurdo»), ciò che resta della sfida con lo Spartak Mosca, di quei 109′ ricchi di paradossi, non è l’ultima ora, ma gli iniziali 28′, pieni di calcio, di autorevolezza, di palleggio e d’imprecisione. Eccolo là il primo vero problema di una stagione già densa d’emozioni, improvvisamente liquefattasi per un giorno dinnanzi all’impazienza di Petagna o allo strafalcione di Zielinski, soprattutto all’esuberanza (?) di Mario Rui, erroracci che sistemano al lato del talento quella carenza di freddezza che poi diventa, così inaspettatamente, maturità. «Farà bene, al termine del campionato, chi avrà saputo gestire meglio certi episodi e certi momenti. Noi dobbiamo farci trovare pronti. Non so se sia possibile allenare il cosiddetto istinto del killer, ma so che bisogna farsi trovare al posto giusto con la serenità giusta. A quel punto, poi, entra in gioco anche la natura del calciatore, la sua voracità. E quanto ai comportamenti, vanno fatti i complimenti a Osimhen: dopo quell’espulsione, non ha più avuto certe reazioni».  

 

 ATTENZIONE ALL’ITALIANO. È stato tutto così bello, che Spalletti s’è ritrovato eletto allenatore del mese scorso («ma i meriti sono dei ragazzi e di chiunque lavori con noi, di chi, ad esempio, mi fa trovare la divisa d’allenamento pronta e stirata mentre io gliel’ho data stropicciata e sudata»): però, quando si sta per entrare nell’ennesima sosta, che poi tale non è, s’avvicina l’ottava sorella, la candidata a sorpresa che Spalletti ha introdotto al tavolo delle grandi. «Squadra con contenuti, con valori, ben allenata da Italiano, che ha dimostrato di saper fare benissimo questo lavoro». 

RIALZARSI. In questo microcosmo, che s’è svegliato un po’ ammaccato dai ceffoni con lo Spartak, Spalletti ci ha messo le mani e pure la faccia, ha costruito un Napoli che gli somiglia assai, che gioca verticale quando può o altrimenti, con personalità, aggira le insidie e insegue la settima vittoria: «A volte, quando comincia la stagione, non sai in che direzione vada la cosa nella gestione. Io ho una squadra che negli anni precedenti ha fatto bene per vari periodi; è una squadra forte che sa quale deve essere il comportamento di una big». Anche «cattiva», perché no!?

A. Giordano (CdS)

 

 

 

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