Ferrara: “Diego era Diego; anche l’avvocato Agnelli mi chiese solo di lui”

Ciro Ferrara e Maradona. Un rapporto forte, unico. L’ex difensore di Napoli e Juventus ne parla a SEtte, in una lunga intervista. Anche quando incontrò l’avvocato Gianni Agnelli, la curiosità del manager fu tutta per il campione argentino:

«Ho conosciuto Diego nella sua grandezza e nella sua debolezza, ne ho visto le zone di luce e d’ombra. Certo non era un professionista esemplare, ma in campo era unico. Per un periodo abbiamo abitato nello stesso palazzo. Tornavo dagli allenamenti e lo trovavo in garage che faceva i pesi. Diceva: “Mi sono svegliato tardi, Ciro”. Diego doveva essere protetto da sé stesso. Quando l’ho conosciuto avevo vent’anni, ero un ragazzo, non era facile convincerlo, aiutarlo e a me mancavano il coraggio e la personalità per stargli vicino e parlargli nel modo in cui lui aveva bisogno. L’ho capito crescendo».

«Diego era Diego, un visionario: è venuto a Napoli senza conoscere la piazza e forse nemmeno il valore vero della squadra. Ma a lui non importava, voleva vivere un sogno. Ha provato a suo modo a cambiare una città, una piazza, un popolo intero. Ha preso posizioni forti in alcune circostanze come quando alla vigilia di Italia-Argentina, semifinale del mondiale, a chi si chiedeva per chi avrebbero tifato i napoletani disse: trovo di cattivo gusto chiedere adesso ai napoletani di essere italiani per una sera, dopo che per 364 giorni all’anno li avete trattati da terroni… Aveva diviso la città».

«Eravamo in aeroporto perché avevamo una partita in trasferta. Ad un certo punto chiedono a me e a Luca di seguire una persona che ci avrebbe condotti da Gianni Agnelli, che voleva conoscermi. Saliamo in auto, arriviamo all’area dei voli privati. L’Avvocato mi stringe la mano e mi chiede: “Ma com’era Maradona?”. Io iniziai a parlare e lui commentò: “Mi sarebbe piaciuto tantissimo averlo qui alla Juventus”. Scherzai dicendo che se i bianconeri avessero avuto anche Diego, noi non avremmo vinto niente. Diego è atemporale, aspaziale. Quindi Agnelli mi chiese com’era Gianfranco Zola e ci salutò. Di me non domandò nulla. Con Vialli abbiamo sorriso molto del mio imbarazzo di quel giorno».

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