Doppio ex Bertoni, il consiglio al Napoli: «Adesso punta tutto sullo scudetto»

Erano gli anni quasi autarchici in cui gli stranieri erano pochi, probabilmente la serie A era più divertente e in Europa qualcosa i club italiani pure vincevano. Daniel Bertoni è stata una delle stelle quando le frontiere riaprirono, 14 anni dopo la disfatta con la Corea del Nord. Era il 1980. Prima alla Fiorentina e poi al Napoli (e infine all’Udinese). «Il mio cuore è diviso. Vorrei che vincessero tutte e due domani, il Napoli perché così prende forza il suo progetto per lo scudetto e la Fiorentina perché così Italiano può continuare a sognare una stagione ambiziosa».

Bertoni, ieri e oggi. Iniziamo da oggi.
«Il Napoli è una squadra stupenda e poi sapete che Spalletti è stato un mio tifoso? Mi ha raccontato di quando ragazzino veniva a vedere le partite della Viola e faceva il tifo per me dalla Fiesole. Ora è tra gli allenatori più preparati del calcio italiano, si vede da come giocano gli azzurri la sua attenzione, il suo lavoro, la sua preparazione».

Ha perso, male, con lo Spartak Mosca, però.
«Era Europa League, non è un dramma. Può capitare, ma se io fossi in lui penserei solo allo scudetto. Le prime giornate dicono che la Juventus è in ritardo e che sarà una corsa con Milan e Inter. Altre non ne vedo in giro che possano impensierire. Può essere davvero l’anno buono, questo».

Fiorentina e Napoli è anche Vlahovic contro Osimhen?
«La gioventù. Sono i gol del futuro, sono gli attaccanti dell’era moderna, quelli che sono completi in tutto e che possono fare le fortune o le sfortune delle proprie squadre. Come era anche ai miei tempi».

Lo scudetto al Napoli è un suo rimpianto?
«Litigai con Bianchi e con Allodi e andai via proprio l’anno in cui gli azzurri poi lo vinsero. Ma anche il campionato del 1982, quello del gol annullato a Graziani per un fallo che non ho mai commesso sul portiere del Cagliari, mi resta sullo stomaco. D’altronde, il tricolore non era nel mio destino: mi voleva Dino Viola alla Roma proprio nell’estate del mondiale spagnolo e nel 1984 il Verona. Ma io preferii il Napoli: c’erano Maradona, Bagni».

Però con Diego si contendeva le punizioni?
«Ce le eravamo divise: io tiro quelle a sinistra del campo, tu quelle a destra, ci dicemmo. Ma con l’Arezzo, in Coppa Italia, lui venne dal mio lato e spostò la palla. Io lo imitai. Lui la rimosse. Io a quel punto, presi la ricorsa e calciai e basta. Feci gol. Lui mi venne alle spalle e disse: “Non mi fare mai più questo”».

Beh, chiarito perché non rimase a lungo nel Napoli.
«Primo anno 11 gol, poi arrivò Bianchi che voleva da me che facessi il tornante. Ma io ero attaccante, volevo solo andare in porta».

Insigne difende e attacca.
«Diverso da come giocavo io. Lui è una delle poche bandiere che ci sono ancora in Italia. Spero tanto che resti nel Napoli, è campione d’Europa, ha qualità nei piedi e poi è molto generoso in campo. Dote non di poco conto»

Italia e Argentina si contendono questa Intercontinentale per nazionali. 
«Vedo che ci sono ancora dubbi se giocarla o meno a Napoli. Incredibile, la coppa che si chiama Maradona deve giocarsi nello stadio che porta il suo nome e dove ha giocato per sette anni e nella città che lo ha amato proprio come è stato amato in Argentina».

Nel suo Paese c’è chi litiga ancora per Diego?
«Non lo lasciano in pace neppure da morto. Non parlo dei familiari, sia chiaro. È sempre stato circondato da persone che non lo amavano, l’ho visto l’ultima volta alla festa dell’Independiente ma non era il Diego che ricordavo. La sua morte era annunciata».

Torniamo al Napoli, sei vittorie dopo le prime sei: un bel segnale al resto d’Italia?
«Certo che lo è. Anche perché il campionato italiano nasconde sempre delle insidie ogni domenica. Con la Fiorentina i rischi che corre il Napoli sono evidenti: i viola hanno qualità, giocatori importanti, mentalità. Ho visto la gara con l’Inter: alla fine del primo tempo dovevano aver fatto almeno due gol».

Visto da Buenos Aires, è il Napoli la favorita per il titolo?
«È tra le migliori di questa serie A. Ed è il motivo per cui deve mettere da parte distrazioni come le coppe europee che tolgono energie e puntare dritto allo scudetto. Se ripenso agli anni passati: tante volte la squadra era pronta a vincere il campionato ma ha sempre trovato la Juventus sulla sua strada».

Lei ha firmato il primo gol straniero dopo la riapertura delle frontiere, se lo ricorda?
«Con il Catanzaro. Ora mi pare che in Italia faccia notizia di più quando segna un gol un italiano… però è così da tutte le parti. Ma c’è il merito di Roberto Mancini di aver comunque costruito una grande Nazionale che ha vinto con merito l’ultimo Europeo».

Rimpianti per gli scudetti accarezzati. Ma se pensa al Mondiale del 1978?
«A volte provo un po’ di fastidio quando accostano il nostro successo alla dittatura militare: io battevo le punizioni non Videla, Kempes faceva gol non certo un generale, Ardiles correva per tutto il campo non quelli della Junta… Giocavamo a calcio e non sapevamo null’altro».

P. Taormina (Il Mattino)

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