A un certo punto, è sembrato di stare dentro a un circo: lui là in mezzo, in quella specie d’arena, e tutt’intorno il silenzio ammirato di chi sta semplicemente aspettando l’ultima invenzione. «Ha visto che ha fatto in Europa League». Quando Victor Osimhen, come un giocoliere, si è messo a ricamare parabole, uno sulla testa di Söyüncü e l’altro oltre le mani protese di Schmeichel, Bruno Giordano ha scavato dentro di sé, in quel repertorio del suo splendido talento, e si è messo a immaginare cosa stesse succedendo. «Sta cambiando il vento, perché il Napoli ha un attaccante straordinario». Magicamente moderno, verrebbe da dire.
Giordano, se le diciamo Osimhen lei a cosa pensa? «Ad Haaland e a Mbappé, gli unici due, insieme al nigeriano, che possono potenzialmente essere ritenuti gli attaccanti padroni del prossimo decennio. Sono giovani, fortissimi, decisivi, spesso determinanti. Ma se Mbappé e Haaland già si erano espressi, Osimhen lo sta facendo adesso, con numeri strepitosi».
Cosa l’ha colpito di lui? «Sarebbe troppo facile dire la sua velocità, la capacità di spaccare le difese avversarie e quindi le partite a campo aperto. Ma a Leicester, contro un’avversaria di qualità, in una condizione particolare – sotto di due gol – ha avuto la freddezza e la padronanza di inventarsi due pallonetti nel giro di pochi secondi, prima saltando il difensore e poi per battere il portiere: non so se mi spiego».
Lo definisca, da ex centravanti. «È una forza della natura e non solo per la fisicità, ma per quello che dimostra di imparare di giorno in giorno. È arrivato e pareva un gioiello grezzo, invece guardatelo adesso, segna in ogni modo: attacca lo spazio, si conquista l’area e la domina, fa a spallate e non va giù, tiene la palla, sente la porta».
Gli trovi un difetto o un particolare sul quale lavorare. «Mi sembra che abbia bisogno di addestrare il sinistro, perché con il destro è micidiale e anche di testa, se penso al 2-2 in Inghilterra. Il destino gli ha dato praticamente tutto, se saprà amministrarsi e migliorarsi, finirà per far più paura di quanto già non ne faccia».
Il tempo è con lui. «E mi pare che Osimhen non lo abbia sprecato. Vanno fatti i complimenti a chi ha voluto scommettere su di lui e al Napoli per aver investito, pur in un momento di difficoltà economica internazionale, per l’arrivo del Covid. Nel suo primo anno, con tutti i guai che ha passato, tra virus e infortunio alla spalla, ha segnato dieci gol: a me sono bastati per pensare che fossimo dinnanzi ad un fenomeno, perché si vedeva quanta energia sprigionasse. Ora mi ha colpito la capacità d’imparare».
Spalletti ha disegnato movimenti offensivi per esaltarne le qualità, non solo nel contropiede. «E Osimhen ha avuto la fortuna di ritrovarsi un allenatore che ha sempre costruito attaccanti impressionanti. Se il ragazzo è tanta roba, lo è anche il tecnico, che ha una sua storia ricca di precedenti con centravanti ai quali ha permesso di esplodere».
L’Italia lo sta conoscendo e lui ha «tradotto» anche il calcio italiano. «Conosce le difese, adesso, e soprattutto mi ha colpito una sua frase: io parlo molto con i miei compagni, con i centrocampisti. Gli posso solo dire che è bravissimo, perché così si fa, si dialoga, si suggerisce e ci si confronta sulle giocate. Anche a me, all’epoca, piaceva tanto chiacchierare».
Dalla Ma.Gi.Ca. ai giorni nostri se ne è andato un trentennio è anche di più. «E questo Napoli può credere nello scudetto. Ho letto che Spalletti ha parlato di sette sorelle ma io comincio ad avere il sospetto che la famiglia sia meno larga, diciamo che saranno tre o quattro a giocarselo, e tra queste io ci metto il Napoli. Il gioco, la qualità dei singoli, la capacità del club di tenere un gruppo straordinario che può permettersi – ma tanto per fare nomi – Manolas, Lozano e Mertens in panchina. Le conoscenze di chi ha portato anche Anguissa. E poi ci aggiungete l’allenatore, un valore aggiunto».
Fonte: A. Giordano (CdS)