C’è il Napoli a cambiare lo scenario di mercato esagerato che c’è in Europa che sennò è sempre uguale: chi più soldi ha, chi più spende, più vince come se fosse un algoritmo perfetto. No, De Laurentiis ha speso nulla questa estate (il saldo è di -20 milioni perché pesa il riscatto di Politano) ma è in linea, coerente, con una serie A che ha denunciato un miliardo e 100 milioni di euro di perdita di ricavi e che ora bussa al governo per chiedere sostegni. Altrove, non pare che sia così. Da quando gli sceicchi hanno acquistato il Psg, il fatturato si è quintuplicato. I compensi fuori mercato elargiti da società correlate sono sotto la perenne lente d’ingrandimento dell’Uefa (ma non succede mai nulla, perché le cose vengono fatte bene), in ottica fair play finanziario servono a far lievitare i fatturati. Più che di ricavi, infatti, si dovrebbe parlare di finanziamenti dei soci. Ma sono pur sempre quattrini, veri, verissimi. In questo contesto deludono in tre in questo avvio di 21/22: in Italia la Juventus, in Spagna il Barcellona e in Inghilterra il Manchester City. Sono i tre club paperoni che la classifica e il campo di calcio maltrattano nonostante quello che producono, perché il pallone non sempre va di pari passo con la velocità delle macchine da soldi. Il patron della Fiorentina, Commisso, si è lamentato del fatto che in Italia anche chi non rispetta indici e parametri vincolanti come quello della liquidità (ce l’ha con Inter e Juventus, per dirla tutti) non vengano penalizzati. Tra questi non c’è il Napoli. Intanto, il Napoli è davanti a tutti e tranne qualche parentesi (il prossimo bilancio sarà in profondo rosso) l’era di De Laurentiis si è quasi sempre chiusa con degli utili. Che messi da parte, garantiscono la sopravvivenza finanziaria. E consentono al club azzurro di potere fronteggiare questa stagione senza i proventi Champions (almeno 50 milioni) e con un monte ingaggi da record senza l’acqua alla gola. Ma anche il rosso del 2020/21 non è legato a follie: è il frutto della pandemia, degli stadi chiusi e dell’abbattimento dei ricavi. Primi in tutto, insomma.
P. Taormina (Il Mattino)