Dossena su Anguissa: “E’ un fenomeno da scudetto. Spalletti? È un finto aziendalista. Che bel gesto mi fece Maradona”

Dossena ai microfoni di Pino Taormina (Il Mattino):

«È un esame di maturità, un test serio per il Napoli e per Spalletti per capire la dimensione della squadra. Perché la solidità e la compattezza della Samp non promettono nulla di buono agli azzurri». Beppe Dossena, campione del mondo nel 1982, regista del Torino, del Bologna e della Samp ma anche ct del Ghana e della Libia. 
È un Napoli che può sognare?«Con l’Inter, con la Roma e il Milan e magari anche con l’Atalanta ha le potenzialità per poterci provare. Il suo è stato un buon inizio, d’altronde questa è da sempre una squadra importante che è mancata soprattutto nella continuità negli ultimi anni».


Un asse africano su cui regge tutto.«Il fenomeno per me è Anguissa. Mi piace da matti, ha una lucida personalità, nelle decisioni e negli spostamenti. I calciatori africani li conosco fin dagli anni 90, hanno sempre avuto molta qualità ma adesso hanno anche molta preparazione».


Colpisce la rapidità con cui si è integrato.«Quel ruolo in mezzo al campo favorisce l’inserimento. Poi vedo che anche Fabian ha fatto un altro passo in avanti: Anguissa gli toglie lavoro e gli consente di occuparsi principalmente della costruzione del gioco».


Chi sembra aver preso il comando della situazione è Spalletti.«Luciano è un uomo che è stato fuori per troppo tempo e quindi scalpitava, non vedeva l’ora di avere un nuovo progetto. E lo capisci da come ringhia. Sta già dando il meglio di se stesso. È un finto aziendalista. Capisce, però, che le cose vanno dette in privato con il presidente».


Che Sampdoria-Napoli sarà?«Una battaglia. Per me, il peggior avversario che potesse capitare adesso agli azzurri. C’è solidità, compattezza, aggressività nel gioco della squadra di D’Aversa. Se il Napoli passa indenne la trasferta di Marassi le sue quote per lo scudetto possono crescere».


Che serie A è questa?«Siamo diventati un campionato di passaggio. Ci sono un po’ di stelle in panchina, allenatori che non vedono l’ora di riconquistare il palcoscenico perduto».


Possono essere gli elementi-chiave nella lotta per lo scudetto?«Quando ero io calciatore, quasi sempre gli allenatori erano come un padre, un fratello, un amico. Gigi Radice è stato una specie di rivoluzionario per quelli della mia generazione. Oggi il ruolo dei tecnici è cambiato: le sfide si vivono e si vincono proprio nello spogliatoio, con la capacità che i tecnici hanno di gestire personalità diverse, uomini con caratteri e storie differenti, con umori variabili. Le parole adesso hanno molta importanza, per rigenerarti, rinfrancarti, non farti montare la testa».


De Laurentiis è l’esempio che si può far bene anche senza avere bilanci disastrati?
«Ben vengano i club virtuosi. Anche perché il sistema calcio non può chiedere soldi al governo se si presenta con bilanci non sani. Giusto aiutare, perché i danni fatti dalla pandemia all’industria del calcio sono stati enormi, ma come fanno a chiedere ristori quelle società che vivono sempre facendo il passo più lungo della gamba? Non è etico, non è morale».


Commisso invoca penalizzazioni.«Non ha torto, dice cose sagge anche se stona che a dirlo sia un presidente di un club. Però il doping finanziario è una piaga seria e i controlli devono esserci. Nell’interesse anche degli stessi calciatori».


Era in campo in quella Samp che affrontò per l’ultima volta Maradona in serie A.
«Era il migliore degli avversari, a Montecarlo mi riconobbe e si affrettò a dire al proprietario che sarei stato ospite suo. Purtroppo attorno a lui c’erano mangiafuochi e saltibanchi, gente che doveva stare al circo e che invece gli dava consigli».

Tratto da Il Mattino

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