Udine è stata la loro casa per tre anni, ma anche il loro trampolino di lancio verso il grande calcio. Marek Jankulovski e Luciano Spalletti hanno vissuto in bianconero tre stagioni esaltanti, unite dal minimo comune denominatore dell’Europa: quella centrata ogni anno, e culminata dalla prima storica qualificazione in Champions League.
Jankulovski, cosa le viene in mente se pensa a Spalletti?
«Un allenatore che non sa cosa sia la sconfitta. Ha una mentalità pazzesca. Non vuole perdere praticamente mai. E la cosa più importante è che riesce a trasmettere subito nello spogliatoio questa sua idea di calcio».
I vostri primi rapporti?
«Siamo arrivati a Udine lo stesso anno, nel 2002, proprio dopo la mia avventura a Napoli. Da quel momento ho capito subito cosa volesse da me e dagli altri».
E voi?
«Lo abbiamo seguito perché era chiaro che ci avrebbe portato in alto».
Come lo avete capito?
«Non nasconde la sua grande ambizione. Punta sempre più in alto e fissa obiettivi sempre più importanti. E i risultati parlano chiaro. Dopo Udine è andato su panchine importanti, portando a casa risultati importanti».
In che modo trasmette la sua voglia di vincere?
«Innanzitutto con il carisma, che è unico. Poi chiede ai suoi giocatori di dare sempre tutto. Non sempre è facile da sopportare, e infatti in tre anni ci siamo anche beccati più di una volta, ma con Luciano i litigi sono sempre costruttivi. È uno che se la prende se vede non lavori o non segui la sua strada».
Lei era uno di quelli che lo seguiva?
« Mi ha aiutato a crescere tanto. Anche tatticamente. Con lui ho giocato anche da esterno destro d’attacco. Mi metteva in quella posizione per permettermi di accentrarmi e tirare in porta».
Nello spogliatoio sa imporsi?
«Da noi a Udine non gli è stato difficile. Ci ha spiegato le sue idee, poi sono arrivati i risultati e abbiamo capito che aveva ragione. Al primo anno abbiamo conquistato i preliminari di coppa Uefa, al terzo addirittura la Champions che non era semplice essendo noi l’Udinese. Ma questo vuol dire che non impiega troppo tempo a raggiungere i suoi obiettivi. Ha grandi qualità».
Mentalità vincente per tutta la partita insomma…
«E infatti non mi stupiscono tutti questi gol nel finale del Napoli».
Perché?
«Ti stimola dall’inizio alla fine e vive tutta la patita con una passione pazzesca. Si piazza lì, sulla riga del fallo laterale, e con le mani ti spinge fisicamente verso la porta avversaria. Ricordo che quando ero in campo quella sua gestualità mi stimolava tantissimo: mi trasmetteva la voglia di non lasciare nemmeno un metro e non sprecare nemmeno un minuto».
Mentre fuori dal campo?
«È uno tranquillo. Chiede rispetto e ricambia con il rispetto. Poi è un allenatore molto simpatico con il quale riesci a concentrarti bene senza stress».
A Napoli si sta imponendo per le sue idee offensive…
«Anche a Udine era uno dei suoi cavalli di battaglia. Lavoravamo molto sulla fase offensiva in allenamento. 4-2-3-1 e 4-3-3 erano i suoi moduli, per una squadra molto votata all’attacco. D’altra parte c’erano Jorghensen, Iaquinta, Di Natale e Di Michele: tutta gente che spingeva molto. Perfetti per noi che lavoravamo tanto per concretizzare».
E allora che partita si aspetta domani sera tra Udinese e Napoli?
«Siamo ancora all’inizio del campionato e tante carte sono tutte da scoprire. Mi sembra che il Napoli stia rispettando le aspettative anche per quello che ha fatto vedere in Europa. Anche perché con Spalletti si sta sempre sulla corda. Insigne è un fuoriclasse. Ma ci sono anche tanti giocatori importanti».
Mentre l’Udinese?
«È una squadra sempre nuova, punta molto sui giovani da valorizzare per poi rivenderli. Quest’anno sono partiti molto bene e il pareggio con la Juve ha dato grande fiducia al gruppo».
B. Majorano (Il Mattino)