Così scrive sulle pagine del Corriere dello sport il giornalista Antonio Giordano sull’inizio di stagione del Napoli e del suo nuovo mister:
“Nel dibattito che Gianni Agnelli, consapevolmente, lanciò negli Anni Ottanta, è rimasta sempre una forbice variabile sull’incidenza di un allenatore in una squadra: ma tre partite, che in una stagione rappresentano un dettaglio, sono state sufficienti per chiedersi ancora e di nuovo se invece quel fattore del 20% di «potere», riconosciuto dall’Avvocato ad un tecnico, rappresentino una soglia adeguata, accettabile o persino modesta. Luciano Spalletti si è catapultato nella sua nuova casa ed ha subito cominciata a riempirla di sé, del suo vocabolario, delle sue frasi a effetto, d’un palleggio ritmato di responsabilità dalle quali nessuno, lui compreso, deve sfuggire: e se questo Napoli si è (ri)trasformato in un’intrigante emozione, per consistenza tecnica e per generosità del talento, c’è sicuramente una dose di spregiudicata padronanza del ruolo di chi dalla panchina la guida, la manipola e la indirizza a spogliarsi d’ogni paura.
Il riassunto dei 270 minuti precedenti è impregnato da dettagli tutt’altro che marginali utili per imprimere la svolta a partite sporche o persino compromesse, a scelte che non appartengono all’intuito ma al patrimonio conoscitivo d’un uomo che sì e calato dentro (il) Napoli ed immediatamente l’ha assorbita. Dal Venezia (in dieci dal 22’ e poi senza Zielinski dal 35’) a Marassi (vittoria al 39’ dopo aver scomposto e ricomposto un sistema, introducendo variabili allo spartito) e poi alla Juventus (sotto al 10’ e con una sciocchezza da poter stroncare la veemente partenza), Spalletti s’è preso il ruolo e l’ha interpretato con spavalderia e un interventismo lucido. Smontando il Napoli dall’emergenza, nel processo identitario che sta sviluppando, in mezzo al campo sono già stati rielaborati Lobotka, Fabian Ruiz ed Elmas, e fuori, è stata ripulita l’aria da quelle tossine che incredibilmente, s’avvertivano ancora dal 23 maggio, dalla sfida fatale con il Verona, dal rimpianto della Champions League sfuggita proprio sull’ultimo miglio, da un ambiente carico di veleni, di sospetti, di ombre, prossimo all’autolesionismo, avvolto in una enorme nuvolone. Per ora, è stato risistemato il calcio – nella sua versione glamour – al centro dei pensieri e forse è stata innanzitutto la mano di Spalletti (direbbe Paolo Sorrentino)”.
Tratto dal CdS