F orse questa è poesia. È letteratura. È storia del (nostro) calcio che sta chiuso dentro 90′ e va letta, inseguendo la ritmica d’una sera: la chiamano la madre di tutte le partite, e dev’esserci almeno un motivo, languido oppur romantico, nel quale Luciano Spalletti va ad intrufolarsi proprio prima di lasciarsi alle spalle la routine per immergersi nella sua gioiosa o tormentata esistenza. «Chi ha sognato il pallone come me sin da bambino, ha pure sognato queste grandi sfide, il gusto della rivalità. Per motivi storici e sociali ci è chiaro che i tifosi della Juventus sono in larga maggioranza del Sud; ma c’è anche un Sud che non tiferà mai Juventus e questo Sud sta a Napoli. Per questo Sud essere napoletani e tifare Napoli è l’unica cosa che conta». In quel pallone che contiene strategie tattiche e di pensiero, tra le pieghe d’una serata a modo suo vibrante, Luciano Spalletti infila se stesso, questo nuovo vissuto del quale s’è impregnato e che ormai gli appartiene e lo trasforma nel cantore d’un popolo che ha già un suo eroe.
«A volte si fa fatica a trovare le parole giuste ma Insigne, Koulibaly e Ospina, giusto per fare tre nomi, non hanno bisogno di troppi discorsi: sono subito pronti. Lorenzo ama questa maglia e non è il solo; David, pur non giocando le prime partite, ha confermato di essere un professionista straordinario; e Kalidou, di rientro dalla Nazionale, si è cambiato in volo in modo da venirsi ad allenare direttamente, senza passare neanche da casa. Sono segnali importanti. Ecco, se stacchiamo un pezzetto di Koulibaly per tutti, diventa più facile».
TU MI TURBI
Sono giornate come queste in cui si scopre la propria natura, il livello d’autorevolezza, la padronanza di se stessi o quel senso di disorientamento che potrebbe far vacillare: «Se vogliamo migliorarci e vogliamo diventare dei grandi dobbiamo avere la testa dei grandi e migliorare tutti i giorni per fare delle cose che ci permettano di superare l’ostacolo. Vogliamo offrire uno spettacolo e secondo me verrà fuori una partita gustosa». Se la giocherà, ovviamente, tentando di sfuggire allo sguardo assassino dell’amico della porta a fianco, perché con Allegri c’è una sintonia e una trasparenza che va al di là della mera pretattica: «Quando lui dice che siamo da scudetto, lo fa perché ci crede e non eventualmente per spostare su di me responsabilità pesanti. Ha detto la verità, perché conosce il calcio». E pure le sue insidie, e le dinamiche, ora alterate da calendari che sottrarranno, al Napoli e alla Juve, talento e fosforo. «Non chiedetemi se penso di metterli a otto punti, so che è una domanda ma rischia di trasformarsi in un giochino che non mi piace. E sulle difficoltà create dai calendario internazionali, io sono d’accordo con De Laurentiis: le partite delle Nazionali e questi obblighi dei voli transoceanici qualche problema per le società lo creano e questa situazione andrebbe sistemata con soluzioni diverse da chi gestisce questo mondo».
GIOCHIAMOLA
Non ci sono alibi, quelli sono argomenti dei perdenti, e pazienza se il destino gli ha tolto anche Meret e Lobotka, se Ospina è appena rientrato, se Osimhen non l’ha ancora visto: «E Zielinski bisogna vedere come sta. Ma Anguissa, Frank come vuole essere chiamato, ha fatto vedere, sin dal momento in cui ha salutato i compagni, che è un giocatore del nostro livello ed è stato bravo Giuntoli a trovarlo. Giocherà, ve lo dico subito, sarà titolare e magari torneremo al 4-2-3-1. Della Juve e di Allegri non mi fido, ovviamente: la sua partenza è indicatore di un bel niente, potrebbe giocare a quattro o anche a tre. Ma queste prime gare hanno ribadito un concetto: nel football moderno c’è una continua trasformazione di ruoli, con le prede che diventano predatori e viceversa».
Fonte: A. Giordano (CdS)