Il Cds sul rinnovo di Insigne: “Il prezzo di un braccio di ferro”

“Se il braccio di ferro fosse una disciplina olimpica, l’Italia sarebbe tornata da Tokyo con undici medaglie d’oro e un campione in più: Aurelio De Laurentiis. Il presidente azzurro è uno specialista del non mollare mai. La sua tenacia alla lunga fiacca la resistenza dell’avversario, ma la vittoria talvolta ha un prezzo non previsto. È accaduto con Sarri, poi due anni fa con gli azzurri ammutinati. E adesso la storia si ripete con Insigne. Il capitano chiede quattro anni di contratto all’attuale stipendio di 5 milioni netti. DeLa non sembra disposto a offrirgliene più di tre a 4 milioni. L’accordo mancato non produrrà un divorzio immediato, ma una coabitazione coatta tra separati per almeno dieci mesi, dopo i quali Lorenzo sarà sciolto da ogni vincolo. 
 
Il capitano non ha in tasca un’offerta alternativa. Se non firma alle condizioni del club, dovrà comunque scommettere su un’altra stagione esaltante, sperando di strappare altrove condizioni migliori. Ma se Insigne non dovesse ripetersi, rischia di rimpiangere l’offerta del Napoli, che adesso snobba. 
Il ragionamento del presidente non fa una grinza. Ma non tiene conto del prezzo che ogni strategia di logoramento comporta. E che nel calcio rischia di essere molto alto. Perché lo stato d’animo dell’atleta è decisivo quanto la sua condizione fisica e la sua dotazione tecnica. Un fantasista in conflitto rischia di essere un calciatore depresso. 
Se poi su quel calciatore poggia il gioco di una squadra intera, gli effetti negativi si moltiplicano. Insigne è un prodotto particolare del calcio italiano. Ha limiti fisici evidenti, che hanno indotto molti scettici a considerarlo per anni un mezzo giocatore. Ma ha dalla sua la capacità di incarnare l’identità di un gruppo. Che non vuol dire solo esserne il capitano, e neanche il più dotato tecnicamente. Dopo nove stagioni in azzurro, c’è qualcosa che fa di lui l’anima del Napoli. Questo qualcosa è l’intuitiva visione di gioco, la capacità di imprimere accelerazioni improvvise, di bucare la rete difensiva degli avversari, di valorizzare le qualità degli attaccanti con assist che pochi come lui in serie A hanno nel loro repertorio. 
Queste particolarità hanno due conseguenze. La prima è che il benessere di Insigne coincide con quello dei compagni, nel senso che il suo stato di grazia influenza la prestazione di tutti. La seconda è che Insigne non è facilmente sostituibile. Perché nessuno degli azzurri, meno che mai il pur bravo Zielinski, può lontanamente fare il suo gioco. E rinunciare al suo gioco vuol dire per il Napoli reinventarsi del tutto, nella composizione, nel modulo, nell’atteggiamento in cui s’interpreta la gara. 
Questo non vuol dire che Insigne sia indispensabile. Ma che è un giocatore pesante. Che forse vale più di quanto non dica la sua stessa bravura individuale. Un investimento sul capitano, anche se oneroso rispetto al budget, è un investimento su un progetto che, pure, tra alti e bassi, il Napoli porta avanti da un decennio. E che non c’è motivo di dismettere all’ultimo miglio. 
I trent’anni di Insigne, la sua maturità personale e il suo magistero tattico giustificano il tentativo di riprovarci, in una stagione in cui tutte le big rivali affrontano cambi gestionali e partenze di calciatori che, come Lukaku e Dzeko, rappresentavano punti fermi. Il Napoli ha l’occasione di consolidare il suo equilibrio e la crescita di alcuni uomini chiave. De Laurentiis ci pensi. Un braccio di ferro si può anche perdere, se serve a vincere una sfida più grande”. 
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