«Can we have two golds?». Lo stadio vuoto e il microfono ravvicinato ci fanno ascoltare la richiesta di Barshim all’ufficiale di gara: «Possiamo mica avere due ori?». La risposta è sì, se voi siete d’accordo. E Gianmarco Tamberi da Civitanova, marchigiano come Roberto Mancini, e Mutaz Essa Barshim da Doha, Qatar, lo sono. Barshim, già bronzo a Londra 2012 e argento a Rio 2016, esulta in piedi, serafico, invece Gimbo si rotola e si appitona per terra, urla «E’ un sogno», quasi ha un mancamento, si tocca il cuore impazzito per provare a fermarlo, si torce così per un paio di minuti con una tarantola in pancia.
FETICCIO. E lì vicino, come da cinque anni, c’è il suo feticcio, il gesso che avvolse la sua caviglia sinistra dopo l’infortunio del luglio 2016, a pochi giorni dai Giochi di Rio dove andò da spettatore. Poi si sa com’è andata, il 2020 è stato sbarrato, è diventato 2021.Dice Barshim: «Un attimo prima salti in cielo, l’attimo dopo non riesci più a camminare. Ti chiedi se potrai tornare come prima, è dura da affrontare. L’accordo sul doppio oro? E’ bastato uno sguardo, niente parole. Gimbo è uno dei miei migliori amici, è un po’ pazzo come me. Se festeggeremo? Potete giurarci. Magari per un anno». Gimbo, sette salti senza errori dal 2.19 al 2.37 come l’amico, passato nell’ultimo anno dalle Fiamme Gialle alle Fiamme Oro: «Mai provata un’emozione così e mai più la proverò, il cuore mi esplodeva. Fino all’altro ieri neppure pensavo di poter gareggiare. Notti insonni e lacrime versate sono servite. Fin dal primo giorno dopo l’infortunio ho avuto Tokyo 2020 come mantra. E poi c’era il gesso, compagno di inconfessabili pensieri e giornate cupe, nemico e amico, la sua ombra. Chissà che fine farà. Forse la sistemazione migliore è in una teca, insieme con la medaglia d’oro dell’amicizia.
A cura di Andrea Sorrentino (Il Mattino)