Pino Maddaloni:«Irma è una guerriera, come lo sono io. E i guerrieri non possono morire da schiavi. La medaglia che ha già al collo non le toglierà la fame che ha dentro di sé. Io conosco quella fame, è la stessa che avevo in Australia. E che ho ancora dentro di me, in ogni cosa che faccio: Testa farà di tutto per vincere l’oro e per portarlo a Napoli». Maddaloni, judoka, vinse le Olimpiadi a Sydney nel 2000. Una gara piena di emozioni, una specie di roulette con un grandioso ippon che decise la finale. Un giorno indimenticabile per quel ragazzo di Scampia.
Maddaloni, Irma Testa sembra favorita.
«Ha grinta, lotta senza paura, l’ho sentita parlare tante volte e anche adesso sa sempre quali sono le cose giuste da fare. Ha lo spirito e la tempra di noi napoletani che riusciamo a far bene. Perché mica tutti ci riescono».
Che spirito hanno i napoletani?
«Sono spinti dalla passione, dall’amore per la propria disciplina. Non gareggi per vincere, non combatti perché vuoi la medaglia, ma lotti e competi perché sei cresciuto con il cuore che ha sempre battuto per il tuo sport. Che sia il judo, la boxe, il canottaggio, la scherma o anche il calcio».
Però per lei è cambiato tutto dopo l’oro di Sydney.
«Io provo ancora un certo imbarazzo quando vengono da me a ricordare quel successo e tutti gli altri. Non credo di essere migliore perché ho vinto l’Olimpiade, credo che quello che ho lo devo alla mia famiglia, alla mia palestra, ai miei maestri. Ed è per questo che ho l’obbligo di trasferire questi insegnamenti ai miei atleti».
Più facile apprendere o farsi ascoltare?
«Oggi si fa fatica ad ascoltare. I ragazzi sono restii a seguire le regole che non gli piacciono. Io dico ai miei: fino alle 17,30 studiate, poi venite in palestra. In tanti pensano di poter aprire il libro dopo gli allenamenti. Ma se si sono allenati bene è impossibile».
Mai mandato via qualcuno per questo motivo?
«Mai. La nostra è una famiglia, la palestra è come una casa vera. E i figli non si mandano mai via, per nessuno motivo. Se uno non capisce, si cambia modo di spiegare. Ma non ho mai cacciato nessuno».
Da telecronista di Eurosport sta incantando tutti.
«Vorrei fare un piccolo manuale per spiegare le regole del judo. E poi le lacrime di Maria Centracchio mi hanno colpito. La conosco da quando aveva 5 anni. Anche lei, come la Testa, è spinta da motivazioni importanti: non combatte per vincere l’Olimpiade, lotta e si allena perché vuole diventare più forte degli altri».
Non è la stessa cosa?
«Sembra che lo sia ma non lo è. Se non vinci, non è che devi smettere di amare quello che fai, maledire i sacrifici fatti per arrivare fino a lì. Quello che fai ogni giorno, per anni, lo devi fare per l’amore che nutri per lo sport che hai scelto».
Come maestro lei adesso che tipo è?
«Meticoloso. Tutti vogliono imparare la tecnica che ti consente di alzarti di due metri e di colpire l’avversario in maniera spettacolare, io invece ricordo che ho vinto l’oro con la mia tecnica speciale, spostandomi come un’ombra, facendo cadere il mio rivale nel vuoto e colpendolo».
A Scampia come vanno le cose?
«Papà e Parlati fanno anche troppo. E spesso chi deve dare una mano si gira dall’altra parte facendo finta che la cosa non gli appartiene. Per fortuna ogni tanto trovano imprenditori che una mano la danno e consentono di portare avanti il nostro progetto. I ragazzi di oggi hanno bisogno di chi combatta per loro. Io ho avuto mio padre che lo ha fatto per me e ora è il mio turno. Ma c’è sempre anche lui».
Il suo gruppo, quello delle Fiamme Oro, ha qualche giovane su cui puntare nel 2024?
«In molti devono confermare ancora di avere gli attributi che fumano, ma sono ottimista. Deve tornare la musica, però. E la musica sono i tifosi sugli spalti».
P. Taorm ina (Il Mattino)