«Ero infuriato con lei, non fui tenero con le parole. E le dissi: Irma, o fai boxe o fai il cinema. Ma ricordati: appena smetterai di salire sul ring non sarai più nessuno e non ti chiameranno a fare nulla. Perché a loro importa solo della tua boxe. Mi pare che mi abbia ascoltato». Patrizio Oliva, olimpionico a Mosca nel 1980, ora attore in teatro con Patrizio vs Oliva (il prossimo spettacolo il 6 agosto a Piombino) è raggiante. Per la medaglia della Testa e per i trionfi napoletani a Tokyo.
Oliva, che cosa è una medaglia olimpica?
«È un sogno che si avvera, è la fine di un cammino e l’inizio di un altro. È il compimento di un percorso che prende il via quando sei piccolo, vedi i trionfi degli altri e speri un giorno di poterli sfiorare. E quando hai la medaglia al collo, non esiste più nulla al mondo».
E per la Testa?
«Irma è stata brava, ha rimesso la testa a posto. Non era facile. La conosco da piccola, Biagio Zurlo è uno dei miei più cari amici e il padre Lucio l’allena da sempre. L’ho dovuta bastonare qualche anno fa: era lì che faceva libri, sciupava il suo tempo nei documentari, pensava a fare l’attrice e si distraeva. Insomma, si stava perdendo. Glielo dissi chiaro e tondo: Guarda ti chiamano perché vinci sul ring, appena scendi di lì chi vuoi che ti pensa? Guarda Clemente Russo, prima di Rio 2016 doveva girare un film. Ha perso e il film non lo ha più fatto. Perché noi siamo questo: campioni coccolati perché vinciamo, ma appena smettiamo di vincere, veniamo dimenticati. A meno che non hai una grande carriera alle spalle».
L’ha ascoltata, per sua fortuna.
«Sono andato giù pesante. Stava sprecando la sua passione, il suo talento. Incrociai uno dei responsabili delle Fiamme Oro, ero nero. Gli dissi: se non vuole più boxare, se non ha più voglia di lottare, mettetele la divisa addosso. Ero arrabbiato. Vincerà l’oro, lei è la più forte di tutte, non ha rivali in Giappone. È una campionessa, è pugile dentro. Ma non deve mai mostrare le sue medaglie, non deve mai godere per i suoi successi».
La fama e la fame vanno di pari passo?
«È così. Io ho vinto l’oro nel 1980 per la rabbia del furto subito l’anno prima dal sovietico Konakbayev a Colonia, agli Europei. Lo dovevo battere. Lo ritrovai in finale. A Mosca. A casa sua. Lo annientai. Col pubblico tutto contro ma che al momento del verdetto si alzò in piedi ad applaudirmi. Proprio come avvenne a Rocky Balboa contro Ivan Drago. Solo che quello era un film e a me è successo per davvero».
Cosa pensa di questa Olimpiade in piena pandemia?
«Sono dei Giochi mozzati. Penso a quello che si sono persi gli atleti nel non riuscire a vivere il villaggio olimpico per via di tutte le restrizioni esistenti. Io conobbi uno dei miei miti che era Pietro Mennea, un vero amico. Gli sportivi di questa edizione non potranno fare queste conoscenze. Ma visto quello che abbiamo vissuto negli ultimi anni è già un grande successo disputare i Giochi».
Ha visto quanti atleti rinunciano per banali scuse? A suoi tempi sarebbe successo?
«Io non mi stupisco, qua non si tratta di non venire perché non ci sono grossi guadagni. Questo è lo specchio della nostra società, sono il risultato di questa generazione che al primo ostacolo trova una scusa. L’altro giorno si dibatteva su Facebook di un concorso regionale e quasi tutti commentavano: Ma tanto è per i raccomandati, che lo faccio a fare?. Li avrei presi a uno a uno: siete dei falliti, intanto studiate e provateci, non dovete sempre mettere le mani avanti per giustificare un fallimento. È più facile rinunciare per poi non dover spiegare la sconfitta».
Tante medaglie napoletane, è una grande gioia?
«Sì, mi fa piacere. Ma senza star qui a parlare di riscatto del Sud. Sono cose che non sopporto. Irma porterà l’oro. E sarà una medaglia storica, come lo è stata la mia medaglia quel 2 agosto di 41 anni fa».
P. Taormina (Il Mattino)