Il Mattino – Tokyo 2020: “E’ ITalNapoli”. Mai risveglio più fu dolce

Cinque medaglie conquistate nell’arco di tre ore a Tokyo da atleti napoletani: Matteo Castaldo, Marco Di Costanzo e Peppe Vicino nel canottaggio (bronzo nel 4 senza); Luca Curatoli nella sciabola (argento nella prova a squadra) e Irma Testa nel pugilato, quel bronzo che potrebbe diventare argento o oro nei prossimi match, dipenderà dai colpi che saprà assestare la Butterfly di Torre Annunziata. Lo sport napoletano ha dato un segnale di grande forza, a 17 giorni dalla finale dell’Europeo di calcio vinta a Wembley con Donnarumma, Insigne e Immobile in campo. Un terzo dei 15 atleti di Napoli e provincia presenti ai Giochi ha conquistato una medaglia e la Campania è al momento la regione che ne ha conquistate di più nella spedizione azzurra: unico oro, al momento, quello del pugliese Dell’Aquila nel taekwondo. Questo territorio vede puntualmente andare via tutti i suoi migliori talenti perché non ci sono strutture adeguate e, soprattutto, perché chi aspira al podio olimpico deve prepararsi altrove, possibilmente presso i corpi militari che garantiscono ottimi tecnici e un posto di lavoro a fine carriera.
C’è attesa per quanto riusciranno a fare altri napoletani: Cristina Chirichella e Monica De Gennaro con la nazionale di volley e Vincenzo Dolce, Vincenzo Renzuto Iodice e Alessandro Velotto con quella di pallanuoto. Intanto, Castaldo, Di Costanzo e Vicino – già vincitori del bronzo a Rio 2016 – hanno confermato la grande tradizione del canottaggio che risale alla Coppa Lysistrata, evento in mare datato 1909. Castaldo è il nipote di uno dei più grandi atleti e dirigenti dello sport napoletano, Carlo Rolandi, signore della vela scomparso un anno fa. Di Costanzo, ragazzo dei Quartieri spagnoli, si è trovato a salire sulla barca del bronzo, non la sua, a poche ore dalla gara per la positività di Rossetti al Covid: ha fatto tutto con estrema naturalezza. Vicino è arrivato alla seconda medaglia olimpica e ciò ha particolarmente inorgoglito il presidente Malagò, che alla vigilia dei Giochi 2016 lo sostenne in una fase di grave difficoltà per la sua famiglia. Peppe viene dalla zona del Lago Patria, dove è stato ristrutturato lo storico campo di gara grazie alla cooperazione dei circoli napoletani.
Testa e Curatoli rappresentano altre due grandi scuole: la Boxe Vesuviana dei maestri Lucio e Biagio Zurlo e il Circolo Posillipo. Irma è nata e cresciuta bene in un rione difficile come quello della Provolera. Poco più che bambina, ha scelto la strada giusta, lontano dai pericoli della strada: ha deciso di diventare prima un pugile e poi di entrare nelle Fiamme Oro, il gruppo sportivo della Polizia. A Rio aveva pensato di smettere dopo essere stata sconfitta ai quarti, le lacrime stavolta sono di gioia. È la prima donna italiana a vincere una medaglia nella boxe, peraltro nei Giochi in cui non vi è un solo pugile azzurro. Gli Zurlo la seguono a distanza in ogni attimo, il ct Emanuele Renzini l’ha resa forte nel fisico e nella mente nel centro tecnico di Assisi, dove ha dovuto battere anche il Covid un anno fa. Luca Curatoli, lanciato dal Posillipo (adesso è tesserato per Club Scherma Chiaia e Fiamme Oro) e allenato dal fratello ed ex campione Leonardo Caserta, ha debuttato ai Giochi con un argento, al fianco di Aldo Montano, il principe livornese della sciabola. Il futuro è suo, come pronosticò già prima di Rio l’ex vice campione olimpico Diego Occhiuzzi.
Napoli e Torre Annunziata celebrano i loro assi, simboli di sport che obbligano a fare grandi sforzi per andare avanti e possono regalare gloria, sicuramente non milioni di euro. Hanno vinto – e la Testa può aggiungere pagine di storia conquistando qualcosa di più prezioso del bronzo – in un’Olimpiade che ha riservato amare sorprese per tanti favoriti: si pensi alle delusioni nel nuoto e in altre armi della scherma per la spedizione italiana, o ai crolli psicologici di quotatissime atlete come Biles e Osaka. I ragazzi napoletani sono saliti sul podio perché hanno cuore, non solo muscoli. E quella dote in più che è la cazzimma, con la quale si può vincere una finale di canottaggio dopo essere stati improvvisamente catapultati dal letto alla barca, o essere decisivi in una semifinale di sciabola o piegare con forza e classe le avversarie e diventare l’eroina del ring. Ci possono essere tanti altri Matteo, Marco, Peppe, Luca e Irma nello sport napoletano, a patto che le istituzioni incoraggino le società e gli atleti. Il restyling degli impianti per le Universiadi è stato utile ma non ha risolto tutti i problemi.

 Ci sono ancora discorsi in sospeso: a Napoli, ad esempio, la riapertura a pieno regime dello stadio Collana e la gestione degli impianti del nuoto, perché queste sono le fabbriche dei talenti.

F. De Luca (Il Mattino)

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