Sotto il profilo del castello Aragonese, sulla sommità del promontorio che domina il mare, dove Ischia Ponte stende le sue dita scintillanti verso Procida, se non avesse amato il calcio, lì sarebbe passato, forse, ad ogni alba, Pino Taglialatela. Vogando piano, in piedi al centro di una barca dal colore blu, scivolando sul mare di velluto dell’ isola. Nel richiamo stridente delle pulcinelle di mare. O magari in uno di quei film di De Sica, con la Loren a bordo di quella barca. Perchè Pino Taglialatela, con il suo fisico perfetto e quel profilo intagliato nel marmo della bellezza che seduce le donne, possiede la bellezza cara agli isolani delle terre campane che abitano il mare. Ancora oggi, a cinquanta primavere suonate. Invece scelse il calcio. Intagliando un rifugio nella roccia di quel castello. Un rifugio dove indossare il suo mantello da Batman. Un Batman solitario, senza il suo Robin. Con lo stadio San Paolo che era la sua Gotham City. Dove alla domenica il suo volo catturava gli sguardi di ottantamila spettatori. Pino Taglialatela, era quel Batman. E mentre l’ identità di Bruce Wayne era a tutti sconosciuta, quella di Pino correva sulla bocca di tutto il campionato di calcio italiano. Perchè nessuno avrebbe mai potuto dubitare che lui e solo lui era l’autentico Batman dei prati verdi. Bastava vederlo volare. Perchè volava. Un po’ Albertosi, un po’ Castellini. Con l’audacia di Preud’Homme. La plasticità di Cudicini. E lo stile di Zamora. Aveva la capacità di trasformare una parata in un quadro. La cornice erano i pali. Dentro i quali trovava il suo incastro. La sua parata era un blocco di granito che lui rendeva plasmabile. Con il suo gusto estetico legato all’ iperbole. Trasferiva i colori della sua isola natia dentro quei voli. Ne percepivi odori e sapori. Sapeva utilizzare il pastello. Una simmetria michelangiolesca. Parava rigori intuendo un momento prima la traiettoria del tiro. Balzando veloce, la mano protesa, i piedi paralleli, il tronco plastico. Mi ricordava Gordon Banks, quando si inarcava. Il piazzamento non era il suo forte. Ma nelle uscite era un asso dell’area. Ti travolgeva levandoti il respiro. Ti prendeva il tempo. Come una di quelle pulcinelle di mare in picchiata tra le onde saltellanti nel mare increspato del pomeriggio ischitano. Giocò in un Napoli che navigava acque basse. Il suo remo spingeva la squadra sui piccoli fondali appena al di là della risacca. Poi le onde sollevate dal talento di formazioni più forti, lo rispedivano a riva. Visse la serie B. Visse un Napoli che cambiò tre allenatori in un solo anno. Visse una delle domeniche più tristi della storia azzurra. Quella di Parma, quando in un sabato spettrale di aprile gli scudati emiliani, imbottiti di ex azzurri, precipitarono il Napoli nella seconda divisione. Ma lui, Pino non si tirò mai indietro. Il suo modo di vivere la maglia azzurra restò immutato. Il suo amore per il Napoli non vacillò mai. Il suo mantello rimase saldo sulle sue spalle. Sebbene Batman viaggiasse su autostrade meno conosciute, con la sua Batmobile. Quando smise, quel mantello ed i suoi guanti, li nascose per sempre in quell’ antro scavato nella roccia sotto il castello Aragonese. Prima o poi arriverà un Robin. E scoprirà quella grotta. La grotta di Pino Batman Taglialatela, che visse volando.
Stefano Iaconis